23 mar – Il perdurare della crisi dei consumi ha avuto pesanti ripercussioni su tutto il commercio al dettaglio in sede fissa. L’aumento della pressione fiscale sulle imprese e la contemporanea riduzione del reddito disponibile delle famiglie ha portato a una grave emorragia di imprese. Ma, soprattutto, è drammatico il tracollo della moda: nei primi due mesi del 2014, quasi una cessazione su 4 nel commercio è un negozio di abbigliamento. A lanciare l’allarme è l’Osservatorio Confesercenti.
Saldi e offerte non sono bastati, dunque, a risollevare la crisi della distribuzione moda in Italia, e il bilancio di natimortalità delle imprese rileva un trionfo del ‘rosso’: nei primi due mesi del 2014, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Confesercenti, il settore ha registrato 3.065 chiusure, a fronte di sole 723 nuove aperture. Il saldo è negativo di 2.342 unità. In totale, il comparto ha registrato una flessione del numero di imprese attive dell’1,4% su dicembre e del 2,3% sul primo bimestre del 2013. L’emorragia ha colpito tutte le regioni italiane, anche se con qualche differenza territoriale. In Lombardia, si rileva il maggior numero di chiusure nel bimestre (277), ma sull’anno il calo proporzionalmente maggiore è stato registrato in Sardegna, dove le imprese registrate sono diminuite del 3,5% rispetto a febbraio 2013.
Nonostante l’abbigliamento sia una delle icone del made in Italy, la diminuzione del reddito disponibile ha portato, dunque, a un calo costante della spesa delle famiglie in abbigliamento e accessori, esacerbatosi durante la crisi. Tra il 2007 e il 2013, i consumi in questo settore hanno registrato una grave flessione (-15,2%), per un totale di quasi 10 miliardi in meno di consumi.
La quota di spesa media mensile dedicata al vestiario dalle famiglie italiane si è attestata nel 2012 al 5%: quasi la metà del 13,6% registrato nel 1992, e che ci poneva, assieme al Giappone, al vertice della classifica mondiale. La crisi sembra aver accelerato un cambiamento in atto da anni: nel 2002 abbigliamento e calzature assorbivano il 6,8% della spesa media mensile delle famiglie italiane. “In parte – spiega Confesercenti – il processo è dovuto senz’altro a motivi culturali: il concetto stesso di status symbol, che una volta includeva spesso e volentieri particolari capi di vestiario, anche importanti, sembra ormai essersi spostato verso i prodotti tecnologici”.
Se il trend registrato nel primo bimestre di quest’anno dovesse proseguire inalterato, stima Confesercenti, a fine anno le chiusure saranno quasi 18mila, mentre il saldo negativo arriverà a sfiorare quota 14.000 imprese. “La causa principale – spiega – è chiaramente la riduzione della spesa degli italiani; ma sulle imprese pesano anche la pressione fiscale molto alta (per quest’anno al 66% sui profitti) e il caro-affitti”.
“Si sconta altresì – aggiunge – un eccesso di concorrenza: da un lato, dell’industria della contraffazione moda, che fa perdere al settore oltre 12 miliardi l’anno; dall’altro, quella dei siti di ‘saldi privati’ online e dei Factory Outlet, che sostanzialmente praticano promozioni per tutto la durata dell’anno. E che stanno erodendo, grazie alla concorrenzialità del principio anti-economico del ‘sotto-costo’, quote ai restanti canali di distribuzione. Nel 2013 attraverso l’ecommerce e i Factory Outlet, combinati, è passata una spesa di 1,8 miliardi”. adnk