Bergoglio e gli anni della dittatura di Videla

Josè Mario Bergoglio
Josè Mario Bergoglio

Nello Scavo
La lista di Bergoglio
Casa editrice Emi

Un’inchiesta condotta sul campo, in Argentina, che fa piena luce sul modo di muoversi di Jorge Mario Bergoglio negli anni dei desaparecidos. Lungi dall’essere stato connivente o passivo, Bergoglio mise in salvo quanti poté, preti e laici, cattolici come lontani dalla fede, a costo di elevati rischi personali e con stratagemmi talora rocamboleschi. ​A dittatura finita, il cardinale di Buenos Aires si è fatto voce della richiesta di perdono da parte della chiesa per le sue responsabilità in quella «guerra sporca».
Giornalista di origine catanese, vive a Como. È cronista di Avvenire e si occupa di criminalità e terrorismo internazionale. I suoi titoli precedenti: Adiòs Fidel (Lindau, 2011; con L. Capuzzi) e Di rata in rata. Viaggio nel paese strozzato dall’usura (Ancora del Mediterraneo, 2009).


INTERVISTA A NELLO SCAVO, GIOVEDI’ 27 FEBBRAIO 2014 (a cura di Luca Balduzzi)

Che anni sono stati per l’Argentina quelli della dittatura del generale Jorge Rafael Videla?
Al di là delle interpretazioni, credo che i numeri spieghino quasi tutto: 30mila desaparecidos, 19mila giustiziati sommariamente per le strade, almeno 500 neonati figli di condannati a morte adottati clandestinamente da famiglie vicine al regime. Tutto questo in meno di sei anni. Con il pretesto di allontanare lo spettro del comunismo dall’America Latina.

Perché i detrattori di Papa Francesco hanno avuto gioco facile, subito dopo la sua elezione, nel criticarlo per la sua presunta connivenza con il regime militare durante il periodo in cui Bergoglio era Provinciale dei Gesuiti? Come viveva quegli anni la Chiesa argentina?
La Chiesa argentina è sata un Chiesa martire. Ha pagato un altissimo tributo di sangue. Tuttavia alcuni vescovi simpatizzarono per i militari, creando disorientamento nei fedeli. Su Bergoglio era stata confezionata un’accusa che si basava su informazioni errate. Ed oggi anche i più strenui accusatori dell’allora cardinale di Buenos Aires hanno dovuto riconoscere che quelle accuse sono state un errore.

Nei primi giorni del mese di ottobre Papa Francesco ha incontrato padre Franz Jalics, uno dei due gesuiti sequestrati e tenuti prigionieri nel 1976, che era stato il primo a far cadere definitivamente le accuse sollevate contro il Pontefice…
Si è trattato di un incontro privato, ma non il primo. Negli anni scorsi Begoglio e Jalics avevano concelebrato una messa a Buenos Aires proprio per sottolineare di essersi riappacificati dopo che Jalics era stato condizionato da sospetti che lui stesso ebbe occasione di diradare. Oggi padre Jalics non solo “assolve” Bergoglio, ma lo ringrazia perché se riuscì a sfuggire alla morte lo deve al suo ex superiore provinciale dei gesuiti.

Come è riuscito a recuperare il verbale dell’interrogatorio a cui fu sottoposto Papa Francesco l’8 novembre del 2010, quando era arcivescovo di Buenos Aires e i magistrati stavano indagando sulla violazione dei diritti umani negli anni della dittatura? Perché nessuno ha potuto/voluto fare riferimento subito a quel documento?
Ottenere quel documento non è stato facile, ma ogni buon cronista ha i suoi metodi. Quel documento, peraltro, avrebbe potuto essere reso pubblico anni prima, ma Bergoglio non aveva mai avuto interesse a farsi pubblicità, e i suoi accusatori non ne avrebbero tratto alcun vantaggio dalla divulgazione di quel testo. Così è rimasto per anni nei cassetti dei tribunali argentini. Oggi è a disposizione di chiunque, e la sua lettura è davvero utile per comprendere quanto pretestuose fossero le accuse al Papa, che per lungo tempo è stato considerato un oppositore dei poteri forti d’Argentina. E questo, naturalmente, non era gradito ai potenti di quel Paese.