13 FEBBR – Per la polizia si sarebbe suicidato “impiccandosi”; tuttavia, dai referti medici emerge un’altra verità, che racconta di una morte dovuta alle “gravi ferite interne” causate da “torture e abusi”. È la terribile vicenda che ha visto coinvolto il 24enne cristiano pakistano Sabir Masih, deceduto per le violenze inflitte dalle forze dell’ordine durante un interrogatorio; egli era stato fermato in precedenza con l’accusa (infondata) di furto. Per estorcergli una confessione, gli agenti non hanno esitato a ricorrere all’uso della forza, infliggendogli lesioni risultate poi fatali. Chiesa cattolica e membri della società civile chiedono giustizia, punizioni esemplari per i responsabili e la fine delle morti violente di semplici cittadini, vittime innocenti dei cosiddetti tutori dell’ordine.
Sabir Masih, padre di due figli, è stato arrestato l’11 febbraio con l’accusa di furto. Gli agenti lo hanno condotto nella caserma di Kohsar, a Islamabad, peraltro giudicata di recente – dopo una profonda opera di restauro – una stazione di polizia “modello” per efficienza, rispetto delle procedure e umanità verso i sospetti. Il giovane è stato trattenuto per la notte e interrogato a lungo.
La famiglia è subito corsa in caserma per raccontare che il giovane era estraneo al furto, avendo trascorso l’intera giornata al lavoro per poi fare ritorno a casa. “Egli non ha commesso alcun crimine” hanno gridato a gran voce, invano. La polizia ha usato la forza per estorcere la confessione – una pratica spesso usata in Pakistan in casi analoghi – fino a provocare ferite interne così gravi da causare la morte di Sabir, avvenuta nella notte fra l’11 e il 12 febbraio.
Gli agenti hanno cercato di nascondere le tracce della violenza, affermando che il giovane si sarebbe suicidato impiccandosi in cella. I vertici della polizia hanno anche intimato alla famiglia di celebrare il funerale entro la giornata di oggi, per coprire eventuali responsabilità; tuttavia, i parenti hanno insistito e richiesto a gran voce l’autopsia sul corpo. Dai primi risultati, la conferma che Sabir Masih è morto a causa di “ferite interne” provocate dalle violenze subite, escludendo con forza l’ipotesi di impiccagione. La magistratura ha avviato un’inchiesta, ma al momento non sono stati emessi provvedimenti contro eventuali responsabili.
Ieri, intanto, la Chiesa cattolica pakistana e membri della società civile hanno organizzato una protesta davanti al Circolo della stampa di Islamabad, denunciando a gran voce la “brutalità”. Un episodio, aggiungono i manifestanti, che smentisce in modo palese presunte iniziative di riforma della polizia in chiave democratica e legalitaria. Fonti cattoliche nella capitale spiegano che l’intervento della Chiesa non è dovuto al fatto che “Sabir Masih è un cristiano”, perché avrebbe potuto essere anche “un musulmano o di qualsiasi altra religione”. La protesta ruota attorno alla “brutalità” della polizia, che deve essere punita a prescindere dalla fede di appartenenza. Anche se è un dato di fatto, aggiunge un fedele, che quando viene arrestato un cristiano “il trattamento della polizia o in cella è di gran lunga peggiore”.
Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l’islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Circa l’80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, ma negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation e che ha investito soprattutto i musulmani sciiti e i cristiani. Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità – come avvenuto a Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore del marzo scorso – o abusi contro singoli individui (Asia Bibi, Rimsha Masih o il giovane Robert Fanish Masih, anch’egli morto in cella), spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia.