31 genn – Una mossa geniale, altro che topo grigio. Il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, ha convocato un mini (sulla carta) vertice europeo il 27 maggio sera. I capi di stato e di governo dell’Unione si troveranno a cena a 48 ore dalle elezioni continentali per il rinnovo dell’Europarlamento con l’obiettivo di chiarirsi sulla nomina del nuovo numero uno della Commissione Ue, l’uomo che sostituirà il portoghese José Manuel Barroso da novembre. E’ un’idea davvero strategica, perché costringe i leader a confrontarsi con le loro responsabilità e perché potrebbe accelerare il processo decisionale, evitando beghe da condominio, il che non farebbe per nulla male all’immagine del club a dodici stelle.
Il processo istituzionale è confuso. Il Trattato di Lisbona stabilisce che il presidente della Commissione deve essere designato tenendo in considerazione il risultato delle elezioni europee, anche se non dice esattamente come. Le grandi famiglie europee si sono portate avanti col lavoro. Si presenteranno alle urne con un candidato di bandiera: Il belga Verhofstadt per i LibDem, il tedesco Schulz per i Socialisti, la connazionale Keller e il francese Bové per i verdi, il greco Tsipras per la sinistra-sinistra Gue. I popolari decideranno ai primi di marzo, si parla dell’irlandese Kenny, dei francesi Barnier e Lagarde, della lussemburghese Reding, del finlandese Katainen, chissà…
Le possibilità sono quattro: il presidente è espressione del gruppo che arriva primo (Ppe o Pse); è indicato da una nuova maggioranza senza precedenti (Pse, Gue, verdi, altri, forse sinistra Lib),;è scelto d’arbitrio dai governi col rischio di crisi istituzionale grave e bocciatura a Strasburgo; nasce dall’esigenza di mediazione (è un liberale). Previsioni impossibili allo stato anche perché entro l’anno si delibera anche il dopo Van Rompuy, il rappresentante della politica estera, oltre che il numero uno del parlamento stesso. Tutto si tiene. Con il rischio di trattative incredibilmente lunghe, difficili e diseducative.
Per questo l’offensiva del fiammingo di Palazzo Justus Lipsius è impressionante. Vuole che si chiuda presto. Vuole obbligare i governi a mettersi d’accordo preventivamente, e la politica a fare la politica sul serio, dunque a decidere con sostanza sul destino del bene comune. Finalmente.
Ps ITALIANO.
Se ne traggono due considerazioni italiche da tutto questo.
1. La prima è che bisogna fare davvero in fretta. Smettere di concentrarsi solo sulle pur importanti cose interne e alzare il naso oltre confine. Governo e Pd hanno la responsabilità di tuffarsi con forza nella partita europea, come risulta che in parte stiano già facendo. Non c’è un attimo da perdere. Se si vuole vincere, la condizione necessaria è partecipare.
2. Gli euroscettici vari, i grillini e tutti gli altri che bruciano a parole la bandiera europea, mi ricordano agli studenti progressisti e di sinistra del mio liceo quando c’erano le elezioni per i delegati d’istituto. Prendevano in giro chi era ben organizzato e inquadrato, in genere CL, e per protesta non presentavano liste o presentavano liste cretine. Il risultato è che tutti i posti andavano agli “altri”. Per quanti parlamentari Grillo e Salvini, con l’astuto Farage, la provocatrice Le Pen, e l’antislamico Wilders, possano mandare a Strasburgo, potranno solo fare rumore. Gli altri avranno la maggioranza per cinque anni, comunque. E loro potranno solo dire “quante gliene abbiamo dette”, mentre i partiti tradizionali – nel bene e nel male, e in totale assenza di perfezione, sia chiaro – potranno raccontare “quante ne abbiamo fatte”. La democrazia è partecipazione, e non rifiuto. Se non si gioca, come dicevamo sopra, non si vince.