30 genn . Sul N. 5 della sua agenzia settimanale l’Eir mette in guardia su un altro pericolo, la bolla dei mercati emergenti, che si annuncia peggiore di quello che ha provocato la crisi del 2007. La bolla dei mercati emergenti, in cui le banche europee ed americane hanno riversato centinaia di miliardi di denaro speculativo elargito dalle banche centrali, sta esplodendo e facendo crollare non solo le valute di quelle nazioni ma anche i mercati finanziari nella regione transatlantica.
Solo nel 2013 sono usciti dal “carry trade” nei mercati emergenti ben 59 miliardi di dollari, sulla base della percezione di un imminente cambiamento della politica monetaria della Fed e di altre banche centrali. Gli analisti che attribuiscono cause distinte alle singole crisi – le turbolenze politiche di Erdogan per i crollo della lira turca, l’attacco speculativo all’Argentina per il peso o l’atteso raffreddamento della crescita cinese – vedono gli alberi ma non la foresta.
Come la bolla dei subprime fu l’episodio scatenante del crollo del sistema nel 2007, così quella dei mercati emergenti è una delle molteplici bolle che le banche centrali hanno ricreato negli ultimi cinque anni con la loro politica monetaria iperinflazionistica. Il sistema è oggi più indebitato, più marcio e pronto a squagliarsi di cinque anni fa.
Secondo una ricerca pubblicata dalla Sueddeutsche Zeitung, le banche europee hanno tanti titoli tossici da aver bisogno di aumentare il capitale di almeno 770 miliardi di euro. Le banche nel cuore dell’Eurozona sono le più bisognose: 485 per le banche di Francia e Germania, di cui 285 per la sola Francia. Il calcolo è stato fatto da Sascha Steffen, docente alla European School of Management and Technology a Berlino, e Viral Acharya della New York Stern School of Business (vedi).
Lo studio anticipa quello che dovrebbe essere il risultato della Assets Quality Review attualmente condotto dalla BCE e atteso per la tarda primavera. La BCE ha promesso solennemente di fotografare la situazione reale delle banche, e i suoi dati sono attesi con suspanse. Un risultato inferiore a queste cifre non sarebbe credibile. In questo contesto vanno collocate le insolite dichiarazioni dell’ex capo della Bundesbank Axel Weber, attuale presidente del Consiglio della UBS. Parlando a Davos, Weber ha preannunciato la crisi di una grande banca e il riemergere della crisi del debito sovrano. Weber si è detto convinto che qualche grande banca in Europa, “nonostante le pressioni politiche”, fallirebbe lo stress test della BCE e sarà costretta all’aumento di capitale, ma incapacitata a farlo. Allora si presenterebbe l’opzione di un intervento governativo, ma ciò riaccenderebbe la crisi del debito sovrano del 2011-2012, se si vuole evitare che la banca fallisca.
Weber ha tracciato l’identikit del Monte dei Paschi di Siena, che se non riesce a raccogliere l’aumento di capitale dovrà ricorrere al salvataggio statale. Il fabbisogno di MPS è relativamente piccolo, ma abbastanza da costringere il governo a sforare i conti in caso di salvataggio, con prevedibili effetti sullo spread.
Mario Draghi, anch’egli a Davos, ha tradito il nervosismo dei banchieri centrali chiedendo che il Fondo di Risoluzione Unico (SRF) giunga a regime prima del 2023, la scadenza stabilita dai governi europei. Draghi ha anche ventilato la possibilità che la BCE acquisti cartolarizzazioni dalle banche.
Altri partecipanti al World Economic Forum hanno espresso preoccupazione per le prossime elezioni europee, che promettono di premiare i partiti anti-Euro. La cosa più importante è che alcuni di questi partiti sostengono l'”End Game” per l’oligarchia finanziaria, e cioè il ritorno al regime di separazione bancaria. Niente più salvataggi bancari con soldi dei contribuenti o con prelievi forzosi, ma si separa il settore commerciale da quello speculativo e si lascia quest’ultimo al proprio destino. (OPI)