24 genn – Bruciò viva la fidanzatina: esce dal carcere. Per i giudici le sue condizioni di salute sono incompatibili con la detenzione.
Fabiana Luzzi. Ed ora potrebbe slittare anche il processo.
Davide M., il diciassettenne che il 25 maggio del 2013 accoltellò Fabiana Luzzi, prima di darle fuoco mentre lei implorava pietà, lascerà presto il «Ferrante Aporti» di Torino. Lo ha stabilito il Tribunale dei minori di Catanzaro, con un’ordinanza che dispone per lui la sospensione della misura cautelare custodiale ed il trasferimento in una struttura sanitaria. Alla base della decisione, i tentativi di suicidio – ben due – che il ragazzo (nel frattempo diventato maggiorenne) avrebbe di recente cercato di portare a termine. Il primo l’11 gennaio scorso, quando provò ad impiccarsi con le lenzuola. Il secondo, le cui modalità sono ancora avvolte dal mistero, un paio di giorni più tardi.
Nel carcere minorile torinese il giovane era rinchiuso da giugno, quando con la sua confessione aveva consentito agli inquirenti di chiudere il caso sulla tragica morte di Fabiana, 16 anni appena, ammazzata al termine di una lite scatenata da un’insana gelosia: 7 coltellate, la fuga e poi, un’ora dopo, il ritorno sul luogo del ferimento. Per finire con qualche litro di benzina e col fuoco la fanciulla ancora agonizzante.
Omicidio premeditato aggravato dai futili motivi, ma pure calunnia, per avere inizialmente scaricato su altri la colpa del delitto. Di questo Davide M. dovrebbe rispondere. Il condizionale è d’obbligo: difficile oggi dire se il processo si terrà: stando ai medici, il detenuto non parla più con nessuno. Neppure coi familiari. Chiuso in uno stato di mutismo, sembra aver troncato ogni rapporto col mondo. Un cambiamento repentino, che striderebbe col percorso sin qui seguito: sempre partecipe ad ogni iniziativa organizzata nei padiglioni del «Ferrante Aporti», a settembre aveva brillantemente sostenuto gli esami di riparazione, iscrivendosi alla quinta geometri. Frequentata con profitto, fino all’improvviso black out che gli spalanca adesso le porte della cella e rischia di allungare i tempi della giustizia.
La famiglia Luzzi non commenta. Gli amici più vicini rimandano alle parole spese in altre circostanze: «Serve la certezza della pena: senza, il femminicidio non avrà mai termine». Respingono invece il sospetto di una strategia difensiva mirata i legali del diciottenne, gli avvocati Antonio Pucci e Giovanni Zagarese. «Il nostro assistito è reo confesso e sarà giudicato, su nostra richiesta, con rito abbreviato. Se avessimo voluto perseguire intenti dilatori o fini reconditi – precisa Pucci – avremmo seguito altre strade». Ma nella chiarezza fa capolino il dubbio: «Il processo potrebbe slittare». O magari non iniziare mai. O concludersi senza condanna. «Davide s’è reso responsabile di un delitto efferato, ma ha seri problemi di salute», sottolinea Zagarese. «Nel corso di un incidente probatorio – aggiunge – sono state accertate le sue condizioni psichiatriche. La situazione è delicata».
Al punto da giungere a prospettare un’incapacità di intendere e di volere? «Non stiamo parlando di un espediente difensivo – puntualizza il penalista – ma di un principio di civiltà giuridica, sul quale sarebbe opportuno aprire un dibattito nell’opinione pubblica: chi viene processato deve essere in grado di capire ciò che gli viene contestato e di difendersi». L’appuntamento in aula è fissato per il 25 febbraio. Ma al momento del processo, oltre che della pena, non v’è certezza. il giornale