Kyenge: gli immigrati in carcere hanno problemi, ci vuole il mediatore culturale

kyenge8 genn – Un monitoraggio delle carceri per individuare le soluzioni alle problematiche. Lo ha proposto il ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, intervista da Tgcom24. ”Le politiche per l’integrazione sono finalizzate a migliorare la qualita’ della vita. Io parto dall’osservare quali sono le difficolta’ per poi riuscire a dare una soluzione. E’ utile un monitoraggio delle carceri per iniziare a individuare soluzioni concrete”, ha detto Kyenge.

“Nel carcere di Rebibbia mancano i mediatori culturali. Quelle persone che, parlando con gli stranieri nella loro lingua, possono farsi interpreti delle loro esigenze e problemi”. E’ questa l’analisi del ministro per l’Integrazione Cècile Kyenge dopo la visita nella sezione femminile del carcere romano di Rebibbia con circa 400 detenute, la metà straniere.

“Una visita molto interessante anche per capire i punti da cui partire per dare concretezza alle competenze del mio ministero – spiega la Kyenge – Per quanto riguarda l’integrazione, cioè agevolare la qualità della vita delle donne in carcere”.

“Ma la sezione che mi ha più impressionato – continua – è quella dove ci sono i figli delle detenute. Ho potuto ascoltare il dramma di molte mamme, sia italiane che immigrate, le difficoltà che incontrano nel crescere i propri figli. Ciò diventa ancora più forte per le donne migranti, perché hanno difficoltà a trovare un appoggio fuori dal carcere”.

La mediazione culturale è importante, “bisognerebbe cercare di agevolare la vita delle detenute cercando di dare loro degli strumenti per comunicare sia tra loro che con il personale” conclude il ministro.

Secondo la Kyenge, il carcere ricopre un ruolo fondamentale nella crescita e nel supporto delle detenute. “Sappiamo che il carcere deve essere una condizione per portare una persona a recuperare, a espiare la pena ma anche cercare di ripartire con una vita diversa – sottolinea – L’identificazione degli stranieri deve avvenire qui, dentro al carcere, per evitare che la pena si possa prolungare fuori.”

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