2 genn – Rientrano. Uno alla volta. Prima il padre, o la madre. Poi tutti quelli che non hanno ottenuto il rinnovo del visto. Quanto ai figli adottivi delle 24 famiglie italiane in Congo, resteranno nelle strutture locali aspettando di riabbracciare i genitori e andare finalmente in Italia. Aspettando non solo che a Kinshasa e in tutto il Congo torni la normalità dopo l’esplosione di violenza che ha fatto un centinaio di morti, ma soprattutto che possano concludersi i passaggi diplomatici innescati dalla decisione del presidente Kabila di bloccare la partenza dei bimbi per verificare che le procedure siano state corrette.
«Tutta la pressione che c’è stata in questi giorni, i toni troppo alti, l’idea stessa che quelle famiglie siano prigioniere in Congo, ha contrariato le autorità e complicato tutto», dice Maurizio Sanmartin, presidente de “I 5 pani”, una delle tre Onlus che si occupano di adozioni in Congo. «Per questo ci uniamo alla richiesta di silenzio stampa avanzata da Francesco Mennillo, commissario della Cai, la Commissione adozioni internazionali. E in considerazione della delicatezza e complessità della vicenda, invitiamo al silenzio giornalisti e famiglie». Anche perché le violenze all’aeroporto di Kinshasa, in una base militare e in un paio di altre città, non sarebbero state “vissute” né quasi percepite dalle famiglie, mentre l’immagine che ne è scaturita è stata un’altra, poco gradita al governo congolese. […] messaggero