22 dic. – Dieci immigrati del Cie di Ponte Galeria sono in sciopero della fame: pur non avendolo dichiarato ufficialmente, e’ da ieri mattina che non ritirano i pasti. Lo riferiscono i collaboratori del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ricordando che ieri nove di loro (5 tunisini e 4 marocchini) si sono cuciti la bocca per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui lunghi tempi di permanenza e sulle condizioni della struttura.
Senza lavoro non mangiava da 3 giorni, disperato si toglie la vita
il frigo era completamente vuoto ed è emerso che non mangiasse da 3 giorni, nel sacchetto della spazzatura alcune bucce di mandarini risalenti a 3 giorni fa e basta
Alla protesta oggi si e’ aggiunto un altro immigrato di cui non si conosce la nazionalita’. Al momento otto di loro stanno incontrando nella saletta del giudice di pace la delegazione del Senato in visita al centro.
“Quella di Ponte Galeria e’ una situazione difficile – ha detto il Garante dei detenuti, Marroni – ma di momenti complessi ne abbiamo vissuti molti, soprattutto quanto la struttura, che da mesi ospita una media di 100 persone, si e’ trovata a gestire anche 300 immigrati. Cio’ che voglio sottolineare e’ che non siamo di fronte ad una riproposizione di quanto accaduto a Lampedusa. La correttezza ed il rispetto dei diritti di chi gestisce il CIE non sono in discussione”.
Al centro delle polemiche finiscono le condizioni della struttura: solo un mese fa, il Garante aveva sollevato il problema della fatiscenza del Cie e, in particolare, della mancanza dei riscaldamenti nei moduli abitativi dovuta al fatto che le nuove gare d’appalto del Ministero dell’Interno non prevedono, al loro interno, gli interventi di manutenzione con conseguenti tempi lunghissimi per provvedere alla gestione di ogni tipo di disservizio.
“I fatti di Lampedusa e quanto sta accadendo qui a Roma – ha aggiunto Marroni – hanno rilanciato il dibattito sulla necessita’ di superare i Cie cosi’ come sono. Ma per affrontare questa situazione di emergenza non occorrono provvedimenti straordinari, basta solo iniziare ad applicare norme e a portare a regime progetti che esistono gia’”. Il Garante si riferisce, in particolare, ai progetti di rimpatrio volontario assistito (RAV) finanziati dal Ministero dell’Interno e di fatto inattuati nelle carceri italiane. Questi progetti – che il Garante nei mesi scorsi ha sottoposto all’attenzione dei direttori delle carceri di Roma – consentono, a chi sceglie di tornare nel proprio Paese d’origine al termine della pena, di intraprendere un percorso assistito basato su tempi certi e, soprattutto, senza transito nei Cie.
Altro punto sul quale il Garante insiste e’ il superamento dell’inerzia sulle procedure di identificazione degli immigrati in carcere, oggi lasciata alla competenza esclusiva del Ministero dell’Interno.
Gli stranieri irregolari detenuti, infatti, alla fine della loro pena vengono portati nei Cie per essere identificati e rimpatriati. L’introduzione di un meccanismo di identificazione gia’ in carcere e’ la premessa per permettere ai detenuti stranieri di scontare la loro pena nel Paese d’origine e di evitare il successivo passaggio al Cie. “Dal punto di vista economico – ha concluso il Garante – un immigrato in carcere costa quotidianamente allo Stato 130 euro.
Applicare le norme che gia’ esistono consentirebbe di alleggerire il sovraffollamento delle carceri, risparmiare risorse da riutilizzare per migliorare le strutture, interrompere il circolo vizioso esistente tra carcere e Cie ed avviare un percorso virtuoso volto all’effettivo miglioramento delle condizioni di vita del detenuto straniero”.