Italiani bloccati in Congo, Borghezio all’ambasciatore: la Kyenge non vale un’acca

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18 dic – Un calvario, per 26 famiglie italiane che sono bloccate nella Repubblica Democratica del Congo dallo scorso 13 novembre. L’odissea di un gruppo di genitori adottivi che non riescono a lasciare il Paese. Il tutto per un “problema burocratico”: non riescono ad ottenere il nulla osta del governo per lasciare l’Africa. Uno di loro, Guido Tota, spiega a Il Sole 24 Ore: “Per la legislatura congolese i bambini sono a tutti gli effetti nostri. Esiste una sentenza passata in giudicato dal tribunale che li dichiara figli nostri, i bambini hanno ora il nostro cognome. Secondo le norme del Paese, però, per l’espatrio dei minori è necessario un timbro della Direction Générale de Migration”. Un timbro che non arriva. Un timbro che né la Farnesina né Cécile Kyenge, il ministro italiano di origine congolese, riescono ad ottenere.

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Così, dopo più di un mese di “prigionia”, entra in scena l’europarlamentare leghista Mario Borghezio. “Halo, buongiorno, sono Borghezio, deputato del Parlamento europeo da Bruxelles”. Il vulcanico Borghezio raggiunge al telefono l’ambasciatore italiano in congo, Pio Mariani: l’audio della telefonata è stato trasmesso da La Zanzara di Radio 24. “Vede, siamo molto preoccupati…volevo sapere qual è la situazione. Cosa riusciamo a fare?”, chiede il leghista. La telefonata inizia con toni pacati, anche quando Mariani spiega che “per il momento la situazione non ha evoluzioni poisitive”. Il leghista lo incalza: “Mi risulta che fossero venuti con l’assicurazione del ministro dell’Integrazione che fosse risolta la questione”. Ma la qustione, il ministro Kyenge, non l’ha risolta.

L’ambasciatore si difende spiegando che è “una questione di pratiche, di burocrazia”. Borghezio, a questo punto, si scalda. “Ambasciatore, qui bisogna alzare il tono della voce”, e per dare il buon esempio il leghista snocciola un vecchio aneddoto, di quando trent’anni fa si trovava a Kinshasa e non volevano cambiargli le lire in valuta locale. Dopo l’aneddoto, Borghezio torna a martellare. Grida: “Batta i bugni sul tavolo, santo cielo. Mi scusi se alzo la voce, però qui è il nostro Paese che ci fa una figura di merda, mi scusi l’espressione”. Quindi una citazione dell’ammiraglio De Falco, il “fustigatore” di capitan Schettino: “Ambasciatore, salga sulla nave, cavolo”.

Nel mirino di Borghezio, poi, ci finisce anche la Kyenge: “Ma come mai il ministro non torna di persona? Parla la loro lingua, sicuramente si fa capire meglio di noi. Non possiamo farla tornare in loco, in patria? E tra l’altro – ecco un’altra stoccata – sarebbe bene se si fermasse anche a lungo”. Borghezio insiste: “I bambini devono fare il Natale in Italia”. L’ambasciatore tentenna. Il leghista rincara contro la Kyenge: “Abbiamo un ministro che non vale un’acca, perché il ministro Kyenge in questa situazione dimostra di non valere niente”. Alla fine della telefonata, dopo un nuovo urlaccio, Borghezio sbatte la cornetta in faccia all’ambasciatore, che continua a parlare, ma dall’altro capo della linea non c’è più nessuno…

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