11 dic – Vendute, ricomprate, spesso passate da una proprieta’ all’altra, da un paese all’altro. E’ la storia di molti marchi d’eccellenza nati in Italia, ma che di italiano oggi hanno ben poco. Lo studio sulla vendita di aziende simbolo del Made in Italy, che Uil Pubblica Amministrazione ed Eurispes hanno deciso di realizzare consapevoli della criticita’ del momento storico nel quale viviamo, vuole stimolare l’attenzione e la riflessione del sistema politico e istituzionale su un tema forse per troppo tempo trascurato ma che sara’ decisivo per il futuro stesso del nostro Paese.
Non solo il controllo di Telecom Italia alla spagnola Telefonica: sono 437 i passaggi di proprietà dall’Italia all’estero registrati dal 2008 al 2012, mentre i gruppi stranieri hanno speso circa 55 miliardi di euro per ottenere i marchi italiani. Lo rileva l’indagine di Eurispes e Uil Pa ‘Outlet Italia. Cronaca di un Paese in (s)vendita’ sulle piccole e grandi imprese del Made in Italy. Nel rapporto si legge che “la situazione a livello generale appare preoccupante”, in quanto se negli anni i protagonisti degli acquisti in Italia sono stati Francia, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, in tempi recenti sono in crescita le operazioni di acquisizione da parte di paesi non occidentali come India e Cina, anche Giappone, Corea, Qatar, Turchia e Thailandia”.
Sono state identificate quelle aziende fondate in Italia, simbolo della nostra migliore produzione artigianale e che hanno vissuto momenti di successo e di crisi, fino a cambiare proprieta’ e bandiera. Un database che raccoglie una selezione di 130 importanti marchi che soprattutto negli ultimi 20 anni per motivazioni differenti hanno registrato cambiamenti nella proprieta’.
La lettura dei dati raccolti e’ affrontata prendendo in considerazione le quattro macro aree del Made in Italy: alimentare-bevande (43), automazione-meccanica (16), abbigliamento-moda (26) e arredo-casa (9); sono state registrate altre 36 aziende nella categoria ”altro”, riguardanti i comparti della chimica, edilizia, telecomunicazioni, design, energia e gas, eccetera. ‘
‘Molte delle nostre migliori realta’ imprenditoriali – spiega Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes – sono state schiacciate dalla congiuntura economica negativa, unita all’iperburocratizzazione della macchina amministrativa, a una tassazione iniqua, alla mancanza di aiuti e di tutele e all’impossibilita’ di accesso al credito bancario. L’intreccio di tali fattori ha inciso sulla mortalita’ delle imprese creando una sorta di mercato ‘malato’ all’interno del quale la chiusura di realta’ imprenditoriali importanti per tipologia di produzione e per know-how si e’ accompagnata spesso a una svendita (pre o post chiusura) necessaria di fronte all’impossibilita’ di proseguire l’attivita’.
L’afflusso di capitali esteri nel nostro Paese non e’ quindi avvenuto secondo le normali regole di mercato e le aziende si sono dovute piegare a una vendita ‘sottocosto’ rispetto al loro reale valore. E per quanto ci si sforzi di imputare al mercato globalizzato tutte le colpe di una simile situazione, e’ ormai chiaro che qualcosa non quadra e che i conti di certo non tornano”. ”All’interno di un sistema finanziario sempre piu’ immateriale e senza patria – sottolinea Benedetto Attili, Segretario Generale UIL-PA – diventa ancora piu’ arduo ricostruire l’origine e i percorsi dei capitali impiegati cosi’ come dei vari interessi a essi riconducibili. E’ certo pero’ che questi interessi, il piu’ delle volte, non corrispondano a vere vocazioni imprenditoriali, ma siano organizzati secondo la logica del massimo profitto.
La svendita della nostra rete produttiva quindi ci impoverisce sia dal lato economico – poiche’ siamo costretti giocoforza a vendere a un prezzo inferiore rispetto a quello reale – sia per la perdita di asset immateriali, a volte di difficile quantificazione economica, perche’ vengono meno la tradizione, l’esperienza e la storia insita in ciascuna delle aziende di cui ci priviamo. In questo senso, va ricordato che la nostra imprenditoria e’ fatta di imprese, costruite nel corso degli anni esaltando il concetto di qualita’. Non solo. Accanto a questi problemi non si puo’ tacere sulla condizione nella quale versano migliaia di lavoratori che si ritrovano in cassaintegrazione e, probabilmente invano, attendono la possibilita’ di un reintegro a ogni nuovo cambio di proprieta”’.
Ecco, segnalano Eurispes e Uil-PA, alcune delle piu’ importanti aziende italiane vendute all’estero: nell’alimentare Sperlari, Martini & Rossi, Cinzano, Vecchia Romagna, Caffarel, Stock, Lactalis, Deoleo, Birra Peroni, Scaldasole, Star, Italpizza, Delverde Industrie Alimentari, Eridania, Norcineria Fiorucci, Ruffino e Gruppo Gancia, Casa Nova. Nel settore dell’automazione e della meccanica la Zanussi, F.I.V.E. Bianchi, Pirelli Optical Technologies, Saeco, Cantiere del Pardo, Gruppo Ferretti, Atala, Dytech-Dynamic Fluid Technologies, Ducati Motor Holding, Lamborghini. Nel settore della moda e dello stile italiano Fiorucci, Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini, Fila, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferre’, Miss Sixty-Energie, Lumberjack e Valentino, Gruppo Kering , Lvmh Moet Hennessy-Louis Vuitton.
Secondo il Presidente dell’Eurispes: ”Sembra che il nostro Paese faccia di tutto per negare il proprio valore e che a noi manchino il gusto e il piacere di sentirci italiani, sottovalutando quelle prerogative che ci distinguono. Si e’ esaurita la spinta che aveva consentito alle generazioni precedenti di trasformare un Paese arretrato, agricolo, in una moderna democrazia industriale, sia pure segnata da ritardi e contraddizioni. E nello stesso tempo, non siamo stati capaci di raccogliere l’eredita’, consolidarne i risultati e utilizzarli come piattaforma per il raggiungimento di nuovi traguardi, per la messa a punto di un nuovo progetto. Abbiamo pensato, stoltamente, che si potesse vivere di rendita all’infinito in un mondo in continuo mutamento.
E cosi’ ci siamo fatti trovare impreparati dalle nuove sfide economiche e dai cambiamenti epocali. Ma anche questo, se si guarda alla storia piu’ o meno recente, e’ tipico del nostro Paese e della sua classe dirigente”. ”Occorre – secondo il Segretario Generale della UIL-PA – una rete di servizi di qualita’ che, al di fuori di ogni spirito protettivo di carattere pubblico, ponga le nostre imprese nella condizione di potersi confrontare ad armi pari almeno con quelle degli altri paesi europei. Non si tratta quindi di immaginare una nuova ‘stagione assistenzialista’ alla quale destinare risorse che, tra l’altro, neppure ci sono. Ma di rendere piu’ efficiente la rete di servizi frammentata e autoreferenziale, che pure esiste a livello centrale e periferico, attraverso una profonda riforma che ne riqualifichi la prospettiva”.