di Pier Luigi Priori
Cominciammo ad aprire gli occhi col primo numero di “Famiglia Cristiana” del gennaio 2004, che riportò, per la prima volta nella storia, l’elenco dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia ( a larga maggioranza istituti bancari ) con le relative quote: un possesso altamente irregolare, perché l’articolo 3 dello Statuto dell’istituto stabiliva che: “ In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”: con una logica inversa e perversa tutta “italiana” la situazione sarebbe stata sanata modificando questo articolo il 12 dicembre 2006, con un DPR firmato dal presidente del Consiglio Romano Prodi, dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dal ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa. Si abrogò così l’ultima norma che prevedeva la presenza dello stato nella Banca d’Italia. A possibile tutela degli interessi ormai disattesi dei cittadini permaneva ormai solo una disposizione contenuta nella legge 262 del 2005 che ancora contemplava un possibile conferimento allo stato della proprietà di Bankitalia.
Dalle rivelazioni di Famiglia Cristiana in poi fummo però in diversi a porci in moto, a comprendere come questo non fosse che il suggello tombale all’usurpazione della proprietà della moneta alla sua emissione da parte del sistema bancario, e quanto globalizzazione e grandi banche marciassero nella stessa direzione, schiacciando ogni attività produttiva, per rastrellare la ricchezza prodotta in mezzo secolo di libertà dal dopoguerra, trasferendola sotto il controllo o nelle mani di una oligarchia finanziaria e dei suoi servi. Dato il muro mediatico e la “potenza di fuoco” del sistema bancario, nonché il conformismo ai potenti della società italiana, quanti di noi affrontavano questi argomenti sono stati per anni ridicolizzati ed isolati, poi… la palla di neve ha iniziato a rotolare ed è divenuta valanga, e la sistematica disinformazione organizzata in internet su questi argomenti è stata travolta. Il muro mediatico sui canali ufficiali regge ancora, ma mostra le prime crepe: in articoli e trasmissioni stampa e le televisioni nazionali iniziano ad accennare al signoraggio bancario, ed alcuni professori universitari trovano il coraggio di parlare di questi temi apertamente. Infine… politici di questa ultima generazione “poltronara”, ma più accorti degli altri, cercano (a parole!) di cavalcare l’onda “sovranista” che cresce.
Era quindi giunta l’ora che il sistema finanziario ponesse più fuori dalla nostra portata quanto del suo bottino non fosse più al sicuro.
Nell’assetto attuale della Banca d’Italia,il gruppo Intesa-Sanpaolo e quello UniCredit detengono (partecipano per) il 64,6% delle quote. Il resto è frazionato fra una miriade di banche ed assicurazioni, con un ente pubblico (l’INPS ) al 5%: aldilà del suo notevole potere e dei suoi formidabili utili, il capitale sociale della Banca d’Italia è invece ancora fermo a € 156.000, cioè ai 300 milioni di lire stabiliti nel 1936.
Le valutazioni e restrizioni europee sulla solidità degli istituti di credito, nelle quali parecchie banche italiane (proprietarie di quote della Banca d’Italia) sono risultate carenti, hanno dato spunto al governo per decidere una rivalutazione le quote di capitale di Bankitalia, mediante l’utilizzo di riserve, fino ad un massimo di 7,5 miliardi di euro. Le quote di pertinenza del capitale rivalutato potranno così essere incluse nel patrimonio di vigilanza delle banche proprietarie (partecipanti) ai valori aggiornati, accrescendo il loro patrimonio in vista degli stress test europei dell’anno prossimo.
Fin qui tutto nella norma: è nella logica anche che il decreto ponesse un tetto del 5% alle partecipazioni proprietarie consentite nella “nostra” banca centrale, dando ai due gruppi bancari che ora la controllano due anni per rientrare in questo limite, vendendo le quote eccedenti.
Diventa però assai allarmante che le quote di partecipazione che verranno alienate d’ora in poi possano appartenere a banche con sede non solo in Italia ma in Europa: anche considerando che (stando al decreto) i gruppi UniCredit ed Intesa-Sanpaolo dovrebbero vendere a breve oltre il 50% delle quote di Bankitalia… rischiamo a breve di vedere cartelli di banche straniere (francesi, tedeschi, ecc) diventare azionariato di riferimento della nostra banca centrale. Ammesso e non concesso che le proprietà delle nostre banche potessero ancora considerarsi “nostre”, si accentua quindi anche la svendita delle nostre risorse e dei nostri “gioielli” a gruppi esteri.
Dulcis in fundo: la norma approvata il 27 novembre abroga anche l’ultima disposizione (della legge 262 del 2005) a tutela dei diritti dei cittadini (e dello Stato) italiani: essa ancora contemplava la possibilità di trasferire allo Stato la proprietà di Bankitalia… una disposizione – guarda caso – ritenuta inapplicabile! In ogni caso, con la proprietà di quote della Banca d’Italia in mani francesi, tedesche o inglesi… quale governo, anche bene intenzionato, rischierebbe più mai di nazionalizzarle o espropriarle, per trovarsi il giorno dopo con le forniture dell’energia elettrica tagliate ed i carri armati in casa?
Per chi sognava che una nazionalizzazione della Banca d’Italia potesse essere un primo passo significativo per riprenderci in mano qualche sovranità, gestione e signoraggio di una moneta alla quale noi stessi di giorno in giorno utilizzandola come merce di scambio diamo valore…. si tratta di un duro colpo! Quanto sta avvenendo elimina però alternative semplificando il nostro cammino: sopravvivere all’euro adoperando varie forme di moneta complementare, parallela, alternativa, mentre ci battiamo non tanto per uscire dall’euro, ma per la sua fine o per una sua reimpostazione radicale come mera moneta parallela: obbiettivo ultimo rimane solo quello della sovranità e proprietà popolare della nostra moneta.
Pier Luigi Priori