Famiglie sfrattate dalla propria abitazione e costrette a vivere nella loro macchina o per strada, dopo che uno od entrambi i genitori hanno perso il loro posto di lavoro, e non sono più riusciti a pagare le rate di un affitto o di un mutuo.
Da quando la crisi economica e finanziaria si è abbattuta sul nostro paese, in Italia i provvedimenti di sfratto come conseguenza di situazioni di morosità sono quasi raddoppiati.
Solamente lo scorso anno sono state emesse più di 69.700 esecuzioni di sfratto, con una crescita del 6,2% rispetto al 2011, e rappresentati per circa il 90% da procedure motivate dalla morosità.
Il 15 ottobre, il nuovo testo del Decreto sull’Imu approvato dalla Camera dei Deputati ha stabilito anche che agli inquilini morosi per cui il giudice ha deciso lo sfratto sarà data la possibilità di rimanere nell’appartamento in affitto senza alcun onere a loro carico, e senza che il proprietario dell’abitazione ottenga alcun compenso economico.
Qualora il prefetto giudichi rilevante il disagio sociale degli inquilini, infatti, potrà bloccare il provvedimento di sfratto («graduazione programmata» del ricorso alla forza pubblica) e impedire il ritorno dell’appartamento nelle mani del proprietario.
Nessuna indicazione, invece, per quelle famiglie che perdono una casa di proprietà.
Le cronache di questi giorni, però, hanno portato alla ribalta proprio un caso di questo genere.
Il quotidiano veneto Il Gazzettino racconta di una famiglia di quattro persone di Chioggia sfrattata in tutta fretta dalla propria abitazione lo scorso 30 settembre, dopo tre anni di grandi difficoltà nel pagare gli interessi del mutuo, a seguito della chiusura dell’azienda di costruzioni del padre, un imprenditore edile. E sfrattata nonostante un figlio di 13 anni malato di mononucleosi, con tanto di certificazione da parte dei medici. Che -ironia della sorte- consigliavano come unica possibile terapia il riposo in casa.
Durante i primi giorni la famiglia ha vissuto nella propria macchina. Poi la Croce Rossa ha deciso di offrirle una sistemazione provvisoria in un locale della sua sede di via Padre Emilio Venturini a Sottomarina. E infine è stata accolta da una signora che si è interessata alla sua vicenda dopo averla letta sui giornali. E che le ha offerto la possibilità di rimanere nella sua taverna, fino a quando i genitori o la figlia più grande di 24 anni non riceveranno una risposta positiva agli annunci di lavoro pubblicati sui giornali e ai curricula inviati.
L’Amministrazione comunale, che attraverso i servizi sociali conosce da tempo la situazione di difficoltà della famiglia, le ha offerto un contributo di 300 euro. Che non è sufficiente per pagare un qualsiasi affitto. Perché i prezzi non scendono mai al di sotto dei 500 euro, e i proprietari chiedono un anticipo fino a tre mesi.
Ma la stessa Amministrazione ha parlato anche di graduatorie, da cui emergerebbe che più di 300 famiglie del comune si troverebbero nella stessa situazione. E con la maggior parte di loro che si è trasferita a vivere sui pescherecci. Per tutti loro, un gruppo di cittadini ha aperto un conto corrente per la raccolta di contributi.
Viene però da chiedersi: che cosa sta aspettando l’opposizione per pronunciarsi su questo allarme? Guardando anche solo alla nostra Imola, non sono pochi i casi in cui l’interessamento da parte dei consiglieri di opposizione ha contribuito a fare conoscere all’opinione pubblica casi di questo genere.
La vicenda della famiglia di Chioggia stata ripresa perfino dal blog di Beppe Grillo e dalla trasmissione Servizio pubblico di Michele Santoro, di cui è stata ospite la figlia più grande. In una collocazione, però, decisamente non consona per permettere un approfondimento adeguato del problema, considerando che l’argomento principale della puntata era quello delle morti degli immigrati a Lampedusa.
Per rispondere alle molte persone che ci hanno chiesto come potere aiutare la famiglia di Chioggia, pubblichiamo il numero di Carta Postepay della figlia più grande: 4023 6005 8422 7427.
Luca Balduzzi