“I diritti umani delle donne sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali. La violenza in tutte le sue forme di molestie sessuali e di sfruttamento, sono incompatibili con la dignità della persona umana e devono essere eliminate. ”
Non sono solo le donne di Piazza Tahrir, le vittime dimenticate dove le violenze sessuali sono la pagina meno nobile ed esaltante tra quelle scritte dalle manifestazioni che hanno condotto alla deposizione di Morsi leader dei fratelli musulmani, nonché fratelli di papa Francesco.
Non sono solo le donne, nei campi profughi le vittime dimenticate che vengono violentate, stuprate e nel caso meno violento, costrette da quei sudici barbuti con il cervello atrofizzato nel medioevo ai cosiddetti “matrimoni temporanei”.
Anche le donne italiane, sono le vittime dimenticate che vengono barbaramente massacrate.
Solo nel 2012, sono 124 le donne barbaramente uccise dalla violenza di un maschio, una ogni tre giorni. Ogni tre giorni una donna in Italia vien assassinata dalla prepotenza di un misogino, dall’arroganza di un maschilista, dalle mani di un vigliacco, dalla crudeltà di un criminale. Il trend del 2013, purtroppo non fa sperare in una regressione.
In Italia, la violenza sulle donne, cresce continuamente e nelle forme più svariate: da quella verbale, a quella psicologica, a quella fisica e da quella economica
Ad alimentare questa violenza, verbale, psicologica, fisica ed economica, sono le politiche culturali, sociali ed economiche che si riassumono nel mancato rispetto della donna, della sua fondamentale esistenza, indispensabilità, delle pari opportunità, dell’intolleranza e della discriminazione.
Nel Paese più bello del mondo, nel Paese del sole, dell’arte, della cultura e dei maschi latini, una donna lavora e se lavora, il più delle volte lo fa senza quei diritti acquisiti e riconosciuti solo sulla carta. La loro assenza sfiora la schiavitù.
Dobbiamo assumere la consapevolezza che anche in Italia, che sulla carta è uno Stato di Diritto, una donna ha meno diritti e meno opportunità di un maschio.
A nutrire questa barbara cultura si sono aggiunte le politiche di austerità di questi governi economicida: Monti 1, Monti2 e Monti3, vassali asserviti ai criminali della troika che con le loro politiche suicide infieriscono sempre e soltanto sulle fasce deboli e ancor più sulle donne. Le pone in uno stato di precario equilibrio, gli nega la possibilità di sfuggire dagli abusi e sopprime gli aiuti a chi subisce violenza. Perché non possiamo nascondercelo, una donna con precarietà economiche è maggiormente penalizzata ed è più facilmente conducibile all’esclusione sociale.
Questo fenomeno barbaro è da attribuire soprattutto ad un primitivo modello patriarcale che pone la vita delle donne, nelle condizioni peggiori di giorno in giorno: si va dalla totale assenza di rispetto alla violenza verbale, dalla violenza psicologica alla violenza fisica e da tutte queste violenze a quella economica, che non è da sottovalutare o da mettere per ultima, perché spesso è proprio l’assenza di risorse economiche che produce violenza, perché spesso è proprio la mancanza di soldi che impedisce ad una donna di liberarsi da una situazione non gradita o violenta.
Dobbiamo essere uniti in questa guerra contro il male! Dobbiamo educare questi bipedi maschilisti, forti con i deboli e deboli con i forti, al massimo rispetto della DONNA, dobbiamo assumere la consapevolezza e quindi riconoscere e accettare che la donna è più forte del maschio. Dobbiamo lavorare uniti alla sua valorizzazione, all’uguaglianza ed al rispetto reciproco, eliminando così il dominio del modello patriarcale, figlio di un modello culturale medievale fatto soltanto di violenza: verbale, psicologica, fisica ed economica.
Voglio lasciarvi questa consiglio di Oriana Fallaci, aggiungendo di non esitare a denunciare alle Autorità il minimo accenno di violenza:
“L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto”.
Armando Manocchia