1 ott – Esperti scelti in maniera discezionale e pagati anche 1000 euro al giorno. Ma sul sito della Cooperazione, nell’area ‘trasparenza’, nomi e incarichi non ci sono
In questo periodo di crisi, vessati da qualunque iniquità giustificata per “sostenere” o colmare il “debito pubblico e no”, ecco l’ennesimo coniglio estratto dal cilindro: le missioni per sostenere i Paesi poveri. Lavorare all’estero per 44 giorni fa guadagnare dai 70 agli 80 mila euro. Ciò è possibile grazie alle risorse pagate dal Governo in favore dei paesi poveri. Qualche mese fa in parlamento ci si disperava per il taglio ai fondi della cooperazione allo sviluppo, ma poi per magia i soldi sono arrivati.
Ed è così che dalla Farnesina partono esperti in missione all’estero. Ma quanto costano? Dai cinquecento euro fino ai mille euro al giorno. Lo Stato a questo settore destina poche risorse. Ultimamente c’è stato il taglio dei contributi diretti dell’80%, e sono stati chiusi molti uffici anche con finanziamenti già erogati. Le Regioni aspettano da anni di vedersi restituire milioni di euro anticipati come crediti d’aiuto. Gli uffici tecnici per la cooperazione all’estero chiudono. Le Ong sono a corto di fondi e richiamano i volontari. Ma invece c’è chi, chiamato per i progetti a sostegno della miseria dei Paesi poveri viene pagato a peso d’oro.
Il quadro missioni della Direzione Generale parla chiaro: esiste un professore di economia da inviare per quattro mesi in Ghana dove il 28% della popolazione vive sotto la soglia di povertà di 1,25 dollari. A lui però verranno dati 70 mila euro per svolgere non meglio precisate attività di supporto privato. Un capo progetto che lavora in Senegal, Paese dal reddito pro capite di due dollari al giorno, ottiene per un anno di lavoro 180 mila euro. Un forestale che va a lavorare in Mozambico invece prende 11- 12 mila euro al mese. Ma come si diventa “esperti”?
Semplice, si viene nominati attraverso scelte del tutto discrezionali, attraverso le quali si seleziona il personale da inviare in missione come “supporto e assistenza tecnica”. Tutto questo è reso possibile grazie ad una lex specialis, la n. 49/1987, che per sua natura deroga le applicazioni giuridiche imposte dalla contabilità generale dello Stato, le norme su assegnazione di incarichi, trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari. Ad attribuire gli incarichi sono gli Uffici della Dgcs (Direzione Generale Cooperazione Italiana allo Sviluppo) la struttura che coordina, gestisce e realizza tutte le attività internazionali dello Stato italiano dirette al sostegno dei paesi in via di sviluppo: ospedali, scuole, strade, interventi umanitari d’emergenza tutti finanziati con fondi italiani.
Ci sono due tipologie di incarichi: quelli assunti presso le Unità tecniche centrali e quelli esterni. I primi sono stati inizialmente inseriti a termine con contratti individuali di diritto privato e retribuzioni lorde fino ai 73mila euro che possono arrotondare con le missioni all’estero. La loro carriera da professionisti privati è finita nel marzo 2012 poi tali contratti sono stati trasformati a tempo indeterminato, nonostante l’età media di 63 anni. Fino al 2011 gli esperti Utc non erano pensionabili ed incontrare ultraottantenni che ancora operavano negli uffici della Farnesina non era raro. Tali esperti, utilizzando il sistema delle missioni brevi o lunghe hanno girato il mondo e messo via una bella somma di denaro, a nostre spese, ovviamente.
Scoprire i nomi, non è facile impresa, nell’area trasparenza del sito della Dgcs c’è una sezione incarichi ma è ferma due anni. Non riporta curriculum e motivo dell’incarico. Ora arginare la discrezionalità diventa un obbligo.
Perché nel frattempo, attraverso un’indagine della Procura di Roma, si è scoperto che non tutti gli esperti sono onesti. Alcuni di loro dichiaravano residenze fittizie in Italia per intascare indennità da 150-390 euro al giorno cui non avevano diritto perché regolarmente residenti nei paesi di destinazione. Si andava da compensi tra i 10mila e gli oltre 300mila euro, frutto di varie missioni cumulate.
Ma ormai questo non fa più scoop, purtroppo gli italiani sono abituati allo sperpero che mai veicola verso le loro tasche. Anche perché nel 2012 si è riusciti a spendere ben 1,3 miliardi per l’affidamento di 300mila incarichi. Paradossalmente si potrebbe sostenere la povertà non aiutandola. Considerando che ogni dollaro o euro speso per i “benefattori” darebbe da mangiare ad ogni disperato. Incredibile come la povertà altrui diventi l’ennesimo alibi per “riempire la pancia” e non solo, ai così detti Paesi Sviluppati.
chantal capasso – ilgiornaleditalia