Lettera al giornale
Enrico Letta si è castigato da solo. Ha cercato di farsi lo sgambetto e ci è riuscito. Per Silvio Berlusconi non ci poteva essere occasione migliore per far cadere il governo. Il blocco dell’aumento dell’IVA era infatti uno dei punti qualificanti dell’intesa di governo e non vi era nessuna giustificazione a prendere una decisione diversa. Il dietro-front su tale punto appare perciò incomprensibile. Berlusconi aveva infatti non uno, ma ben due motivi per ritirare i propri ministri. Il primo è il mancato rispetto dei patti sottoscritti. “Pacta sunt servanda” e quindi Letta è passato dalla parte del torto. Se proprio avesse deciso di venir meno alla parola data, sarebbe comunque stato più saggio far approvare un blocco dell’IVA almeno per pochi mesi, proprio per non fornire al Pdl motivi per staccare la spina. Il secondo motivo è ben noto e ha a che fare con le vicende giudiziarie di Berlusconi. Un politico più avveduto non avrebbe agito così, facendo la figura di quello che non mantiene la parola data. La considerazione del segretario del Pd Epifani a riguardo si contraddice da sola. Egli sostiene che, avendo il Pdl deciso per la decadenza dei propri parlamentari, allora non aveva alcun senso dire sì al blocco dell’IVA, come lo stesso Pdl chiedeva, perché poi il parlamento azzoppato non sarebbe stato in grado di ratificare la decisione del governo. A questo punto credo che si siano raggiunte le massime vette dell’autolesionismo. Dando il via libera al programma concordato, Letta avrebbe dimostrato di saper mantenere gli impegni presi; in secondo luogo, e non è cosa da poco, non avrebbe offerto alcun paravento a Berlusconi. Avendo fatto l’esatto contrario, non può più sostenere che Berlusconi ha “ribaltato la frittata”, perché ciò che Berlusconi sostiene, e cioè che questo governo non aveva alcuna intenzione di attuare il programma concordato col Pdl, è esattamente ciò che risulta agli atti. Le dietrologie di Epifani seguono un percorso contorto, come di chi cerca di arrampicarsi sui vetri. Il fatto certo è che la risposta di Letta sull’IVA è stata un secco no, quando poteva essere un sì che avrebbe messo allo scoperto Berlusconi, se l’intenzione di quest’ultimo era quella di far cadere il governo a prescindere dall’accordo sull’IVA. Epifani in sostanza sostiene che, a prescindere dalla risposta di Letta, positiva o negativa, il parlamento non avrebbe potuto decidere in merito. L’errore è invece madornale e merita il premio Nobel per l’ingenuità. Se è probabile che in parlamento tutto si sarebbe arenato, Letta, dicendo sì alla manovra concordata, non avrebbe fatto però la figura dello sprovveduto che rimane col cerino in mano. Il mio giudizio su Letta: 3/10, quello su Berlusconi, limitatamente a questo frangente, come tengo molto a precisare, direi 9/10. Per il resto di Berlusconi potrei dire peste e corna, ma questa è un’altra storia. Credo comunque che con il governo Letta l’Italia abbia corso un bel rischio. Se qualcuno l’ha fermato, ha fatto un’opera pia. Si è trattato, a mio avviso, del peggior governo della storia d’Italia dal 17 marzo 1861 in poi. Il governo Letta si è posto come priorità leggi da fondamentalisti sull’omofobia e sullo ius soli, trastullandosi con problematiche fondamentali, quali la sostituzione dei termini “madre” e “padre” con “genitore 1” e “genitore 2”, oppure con “genitore” e “altro genitore” (ma quale dei due?), e simili amenità. Mentre il governo Letta si è impegnato a fondo in questa sorta di “brainstorming”, altri problemi hanno suscitato minor interesse. Per esempio, i nostri giovani più preparati devono scappare all’estero a gambe levate per poter esprimere le proprie potenzialità, perché per loro qua non c’è alcun futuro; pare che non esista un sistema meritocratico per la selezione dei migliori: se c’è, qualcuno ce lo dica, perché forse ci è sfuggito; le nostre industrie, quelle che non chiudono, prendono la via dell’estero e l’intero Paese viene svenduto al miglior offerente; le nostre carceri scoppiano per la criminalità dilagante e l’unico rimedio pare essere quello di lasciare i delinquenti in libertà; il nostro popolo è sulla via dell’estinzione per politiche sociali fallimentari, ma può essere una fortuna, perché tra pochi decenni i suoi problemi si saranno estinti con lui; la famiglia tradizionale sembra dover essere dichiarata fuorilegge, perché “politicamente scorretta”; le famiglie (il termine si può ancora usare?) intanto sono allo sbando e i figli ne pagano le conseguenze, e potrei ancora proseguire, ma qui mi fermo per pietà e per mancanza di spazio. Un governo di questo genere, a mio parere, non giova all’Italia, non crea prospettive per una migliore qualità di vita, fa gli interessi dell’Europa dei banchieri in continuità con il governo Monti, fa dell’Italia lo zerbino d’Europa e del mondo. E’ bene che sia caduto e spero, anche se con poco ottimismo, che si possa cambiare registro.
Con i più distinti e cordiali saluti.
Omar Valentini, Salò.