Quell’11 settembre pensavo al mio bambino, dunque, e superato il trauma mi dissi: «Devo dimenticare ciò che è successo e succede. Devo occuparmi di lui e basta. Sennò lo abortisco».
Così, stringendo i denti, sedetti alla scrivania. Ripresi in mano la pagina del giorno prima, cercai di riportare la mente ai miei personaggi. Creature d’un mondo lontano, di un’epoca in cui gli aerei e i grattacieli non esistevan davvero. Ma durò poco. Il puzzo della morte entrava dalle finestre, dalle strade deserte giungeva il suono ossessivo delle ambulanze, il televisore lasciato acceso per l’angoscia e lo smarrimento lampeggiava ripetendo le immagini che volevo dimenticare. Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, Milano, Rizzoli, 2001, p. 29