4 sett – Di Gaja Barillari – Frank Agrama è l’imprenditore americano condannato nell’ambito del processo per i diritti tv Mediaset per essere stato uno sorta di “socio occulto” di Silvio Berlusconi. Frank Agrama esercitava come mediatore per la cessione dei diritti dei film della Paramount in Italia. Il produttore aveva infatti l’esclusiva per la casa cinematografica nel nostro paese, ma anche in altre nazioni europee.
Ora, quello che il quotidiano Libero scrive oggi, è che Agrama non trattava i diritti Paramount solo con Mediaset ma anche con la Rai e con Rete Italia, giustamente verrebbe da aggiungere, trattandosi di un mandato in esclusiva.
Ora la tesi portata avanti dalla magistratura per confermare la condanna è che, come scrive Libero, Agrama fosse il complice truffaldino del Cav che gonfiava i prezzi dei diritti in modo da dividersi gli introiti in eccesso. La difesa del produttore americano però proprio non ci sta e l’avvocato Pisano ribadisce che la conclusione dei giudici “che Silvio Berlusconi non poteva non ricevere il profitto derivante da presunti affari illeciti” è del tutto infondato.
Ma perchè? Perchè stando anche alle dichiarazioni di alcuni test, che la difesa di Agrama ha presentato, non c’era alcun limite di prezzo per l’acquisto dei diritti. A dimostrazione di ciò ci sono anche le trattative con la Rai. Il test De Santis infatti sostiene che per le trattative con Viale Mazzini nella parte “contrattualistica ha grande rilevanza il Foro e che per la Rai i contratti venivano fatti al Foro di Roma”. Ad esempio nel 1998 la Matlok Agrama acquista da Paramount diritti per 608mila dollari che poi, sostiene De Santis, “rivende alla Rai per 1 milione e 425mila dollari. Com’era normale che fosse e come sempre avveniva”. La difesa di Frank Agrama continua dunque per dimostrare la sua tesi che l’imprenditore fosse un intermediario reale e non fittizio, perchè Silvio Berlusconi non controllava la Rai e non poteva costringerla a rivolgersi ad Agrama.
Dunque per la difesa la Rai è un termine di paragone “significativo ai fini della corretta qualificazione dell’attività del produttore americano”, ma di questo la Cassazione non ha tenuto conto e ha portato avanti la sua tesi senza però, secondo l’avvocato Pisano, riuscire a dimostrarla.