3 sett5 – La “causa mortis” per Stefano Cucchi è la “sindrome da inanizione”. I giudici della Corte d’assise di Roma lo sottolineano nelle motivazioni della sentenza emessa il 5 giugno scorso con la quale sono stati condannati 6 medici per omicidio colposo e fatto cadere le accuse nei confronti di tre agenti della polizia penitenziaria e di 3 infermieri.
Secondo i magistrati, che oggi hanno depositato il documento di 170 pagine, vale quanto accertato dai periti: “La sindrome di inanizione è in grado di fornire una spiegazione dell’elemento più appariscente e singolare del caso in esame e cioè l’impressionante dimagrimento cui è andato incontro Cucchi nel corso del suo ricovero” nel padiglione carcerario dell’ospedale Sandro Pertini.
Cucchi morì il 22 ottobre ad una settimana dal suo arresto per spaccio di sostanze stupefacenti. Secondo la corte non sono convincenti – spiegano – le conclusioni dei consulenti tecnici della parte civile per cui il decesso “si sarebbe verificato a causa delle lesioni vertebrali che, interessando terminazioni nervose, avrebbero dato origine ad una sintomatologia dolorosa e che, unitamente ad una ‘vescica neurologica’, avrebbero ingenerato, con riflesso vagale, l’aritmia cardiaca” che si sarebbe a sua volta inserita causalmente nel determinismo della morte. Anche questa tesi – spiegano i giudici – presta il fianco all’insuperabile rilievo che non vi è prova scientifico fattuale che le lesioni vertebrali in questione abbiano interessato terminazioni nervose”.
“E’ legittimo dubbio che Stefano Cucchi, arrestato con gli occhi lividi e che lamentava di avere dolore, fosse stato gia’ malmenato dai carabinieri”, ancora prima di essere consegnato la mattina del 16 ottobre 2009 agli agenti di polizia penitenziaria che lo portarono nelle celle sotterranee del tribunale di Roma in attesa della convalida del suo arresto per droga. Lo afferma la terza corte d’assise nelle motivazioni della sentenza che il 5 giugno scorso si concluse con la condanna di sei medici e l’assoluzione di tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria, questi ultimi accusati del pestaggio di Cucchi.
“Non e’ certamente compito della Corte indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte (il 15 ottobre, quella dell’arresto, ndr) erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui, e tuttavia sono le stesse dichiarazioni dei carabinieri che non escludono la possibilita’ di prospettare una ricostruzione dei fatti diversa da quella esternata da Samura Yaya”, il superteste di origine africana che riferi’ di aver sentito un pestaggio nelle celle del tribunale e di aver raccolto lo sfogo di Cucchi che gli mostro’ una gamba sporca di sangue.
“C’e’ da dire – spiega la Corte -, quanto agli accadimenti nella caserma, che e’ indubitabile che nulla di anomalo si era verificato al momento dell’arresto e fino alla perquisizione domiciliare. Se qualcosa di anomalo si era verificato, cio’ puo’ verosimilmente collocarsi nel lasso di tempo che va tra il ritorno dalla perquisizione domiciliare (verso le due di notte) e l’arrivo della pattuglia automontata (intorno alle 3,40), dovendosi ragionevolmente escludere che atti violenti fossero stati posti in essere dal carabiniere Colicchio (che chiamo’ il 118 perche’ Cucchi non stava bene) o dai carabinieri della pattuglia che si erano limitati ad effettuare il trasferimento dell’arrestato da una caserma all’altra”.
Per la Corte d’assise “in via del tutto congetturale potrebbe addirittura ipotizzarsi che Cucchi fosse stato malmenato dagli operanti al ritorno dalla perquisizione domiciliare atteso l’esito negativo della stessa laddove essi si sarebbero aspettati di trovare qualcosa, mentre il giovane aveva mantenuto una comprensibile reticenza circa il luogo dove realmente abitava”.