24 lug – I magistrati svizzeri bloccano il trasferimento di dati bancari segreti all’Italia relativo a nove persone indagate per bancarotta fraudolenta, dichiarazione infedele, riciclaggio di denaro e associazione per delinquere. Secondo quanto riferisce il Corriere del Ticino, la Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale (TPF) ha accolto due ricorsi inoltrati contro la trasmissione di incarti agli inquirenti italiani, chiesti nell’ambito dell’indagine sul fallimento di una compagnia di navigazione napoletana, attiva nel settore del trasporto marittimo di merci.
Si tratta della Dimaiolines di Torre del Greco, il cui fallimento – avvenuto alla fine del 2010 – ha portato sul lastrico numerosi risparmiatori, che si sono visti privati 40 milioni di euro di risparmi. Gli indagati sono sospettati di aver emesso certificati obbligazionari al portatore incassando il controvalore su conti bancari personali invece che sui conti intestati alla societa’.
Gli inquirenti italiani stimano che le somme sottratte dai conti societari sarebbero dell’ordine di circa 650 milioni di euro. Parallelamente sarebbe stato distratto il valore della flotta di proprieta’ della societa’, valutato in circa 350 milioni di euro. Con una prima domanda di assistenza giudiziaria del settembre 2012 e una seconda inoltrata nel gennaio 2013 – scrive ancora il Corriere del Ticino – gli inquirenti italiani hanno chiesto la trasmissione della documentazione bancaria, nonche’ il sequestro degli averi depositati sui conti degli indagati presso diverse banche elvetiche.
A seguito di una segnalazione da parte di una banca luganese, il Ministero pubblico ticinese ha aperto a sua volta un procedimento per riciclaggio di denaro, accogliendo la rogatoria italiana. Quest’ultima e’ stata contestata da quattro degli indagati, che lamentavano una violazione del diritto ad essere sentiti. In due sentenze pubblicate oggi, la Camera dei ricorsi penali ha dato loro ragione. Il fatto di decidere con un unico atto l’entrata in materia sulla richiesta di assistenza, il blocco degli averi e la chiusura della procedura – rileva la Corte – ”ha privato i ricorrenti di ogni possibilita’ di partecipare alla fase di esecuzione della rogatoria”.