Usa: Pakistan negligente e complice su latitanza di Bin Laden

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vecchia foto di Osama bin Laden con Condoleezza Rice

9 lug –  “L’intero episodio della missione del 2 maggio 2011 e la riposta del governo pakistano prima, durante e dopo, sembrano in gran parte una storia di compiacenza, ignoranza, negligenza, incompetenza, irresponsabilità e forse peggio a vari livelli dentro e fuori il governo” di Islambad. È il durissimo giudizio che emerge dal rapporto di 336 pagine scritto dalla commissione incaricata di indagare sulle circostanze della raid Usa in cui Osama Bin Laden venne ucciso ad Abbottabad, in Pakistan.

Dal documento, pubblicato dal sito di Al-Jazeera, che l’ha ottenuto da fonti sconosciute, si evince come le autorità di Islamabad ben poco fecero per scovare il numero uno della rete terroristica, se non addirittura aiutarono la sua latitanza. E cita anche un episodio, ricordato dalla moglie del suo corriere, in cui l’auto di Bin Laden venne fermata per eccesso di velocità, ma poi lasciata andare.

NOVE ANNI INDISTURBATO. Nel documento si sottolinea come lo sceicco del terrore sia riuscito a vivere nascosto in Pakistan per nove anni senza essere scovato, grazie alla negligenze e all’incompetenza a tutti i livelli delle autorità pakistane. All’epoca l’operazione segreta condotta dai Navy Seals americani infastidì non poco i funzionari locali, che pretendevano di essere informati in anticipo. Ma gli Usa hanno spiegato di aver agito in segretezza per il timore che a Bin Laden potesse arrivare una soffiata.

La posizione del compound dove venne trovato, non lontano dall’accademia militare pakistana, fece pensare a molti che i funzionari nazionali avessero aiutato il capo di al-Qaeda a nascondersi, anche se su questo non sono mai arrivate conferme.

COLPEVOLI GOVERNO E INTELLIGENCE. Il rapporto pubblicato non cita prove del fatto che le autorità locali abbiano materialmente aiutato Bin Laden, anche se non lo esclude, e spiega che molto poco si sa della rete di sostegno che lo aiutò sul posto. Il documento però si scaglia contro tutti i livelli del governo, inclusi esercito e servizi di intelligence, per non essere riusciti a individuare il leader della rete terroristica, che visse in sei diversi luoghi durante i nove anni trascorsi in Pakistan. “Per riassumere, negligenza e incompetenza ai massimi e minimi gradi a quasi tutti i livelli di governo sono chiare”, si legge nel rapporto che si basa sulla testimonianza di oltre 200 persone, documenti ufficiali e visite sul posto. Non è chiaro se la critiche piovute in questo modo sulla potente istituzione dell’esercito possano avere qualche ripercussione effettiva. E il governo per ora non commenta. La commissione aveva raccomandato alle autorità di rendere pubblico il rapporto, completato mesi fa, per paura che venisse ignorato o soppresso, ma ciò non è mai avvenuto.

FERMATO PER ECCESSO DI VELOCITA’ MA LASCIATO ANDARE. Il documento definisce sconvolgente che nessuno nel governo di Islamabad abbia scoperto Bin Laden, mentre lui visse indisturbato ad Abbottabad per sei anni in un complesso descritto come “difficilmente normale”, visto che era isolato, circondato da alte mura e protetto da filo spinato. Quando si muoveva per il compound, lo sceicco del terrore indossava un cappello da cowboy per non farsi scoprire. “La portata dell’incompetenza, per usare un eufemismo, è stata stupefacente, se non incredibile”, si legge ancora nel documento. E a conferma di questo viene ricordato come la moglie del corriere di Bin Laden, Maryam, rivelò che in realtà si arrivò vicini alla cattura nel 2002 o 2003, mentre Bin Laden viveva nella valle dello Swat, nel nordovest. Un poliziotto in quell’occasione fermò per eccesso di velocità l’auto su cui viaggiava il numero uno di al-Qaeda, diretta verso un bazar, ma il marito della donna, il corriere Ibrahim al-Kuwaiti, risolse rapidamente la questione prima che il funzionario potesse riconoscere Bin Laden.

PAKISTAN INCAPACE DI RILEVARE RAID USA. La commissione, composta da un giudice della Corte suprema, da un ufficiale dell’esercito in pensione, da un ufficiale di polizia in pensione e da un diplomatico, riprende inoltre i funzionari pakistani per non aver scoperto la rete della Cia che avrebbe aiutato gli Usa a individuare il nascondiglio di Bin Laden. “Questo caso – si legge ancora nel documento – è niente meno che un abbandono collettivo e sostenuto dei compiti della leadership politica, militare e di intelligence del Paese”. La commissione non ha trovato prove che i funzionari di Islamabad siano stati informati prima del raid Usa. La cooperazione tra la Cia e i servizi di intelligence del Pakistan (Isi) sulla ricerca di Bin Laden terminò infatti nel 2005. Probabilmente gli Stati Uniti potrebbero essere riusciti a trovare lo sceicco del terrore tracciando il suo corriere, al-Kuwaiti. I radar pakistani non furono nemmeno in grado di rilevare l’aereo americano che volò per oltre 160 chilometri in territorio pakistani per condurre il raid, perché le capacità di difesa sul confine occidentale con l’Afghanistan, scrive il rapporto, erano in modalità “pacifica”. E comunque, si legge, anche se il Pakistan intensificasse le sue risorse di sorveglianza e difesa, non sarebbe in grado di impedire agli Usa di condure simili operazioni in futuro, a causa dell’ampia asimmetria in termini di forza militare e tecnologica tra i due Paesi.

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