30 giu – Lasciamo perdere le supposizioni sulla vicenda del possibile buco di 8 miliardi del Tesoto frutto di “una perdita potenziale” provocata dai derivati stipulati negli Anni Novanta, nell’ambito di operazioni cdi “window dressing” che avrebbero aiutato l’Italia a migliorare artificialmente i conti per strappare l’ingresso nell’euro. La notizia, annunciata da Repubblica e Financial Times, poi smentita o perlomeno relativizzata dal Tesoro italiano che si è affrettato a precisare che
Il Tesoro fornisce regolarmente ogni sei mesi alla Corte dei Conti tutta la documentazione relativa alle operazioni condotte in strumenti di finanza derivata. La Corte dei Conti nel mese di marzo 2013, tramite la Guardia di Finanza, ha chiesto la documentazione inerente alla sola attività di chiusura di un gruppo consistente di operazioni con Morgan Stanley. A fronte di tale richiesta, il Tesoro ha fornito tutta la documentazione richiesta, secondo tempi concordati con la Guardia di Finanza stessa, per ciascuna operazione, inclusi i contratti pregressi dai quali ciascuna operazione ha avuto origine (copia di ciascun contratto e relativo decreto ministeriale con il quale ogni singola operazione è stata formalmente approvata) corredata da una circostanziata relazione esplicativa.(…)
Le operazioni poste in essere all’epoca sono state sempre registrate correttamente secondo una prassi consolidata, nel rispetto dei principi contabili sia nazionali che europei. I controlli effettuati sistematicamente dall’Eurostat a far tempo dalla seconda metà degli anni Novanta, anche quelli conseguenti all’introduzione in più fasi di nuove linee guida sugli strumenti finanziari derivati, hanno sempre confermato la regolarità della contabilizzazione di queste operazioni.
La posizione del ministro del Tesoro Saccomanni e dunque dello stesso Draghi è : tutto regolare, abbiamo rispettato la legge. Non ne dubitiamo, però il punto è un altro.
Quando Mario Draghi, all’epoca direttore generale della Banca d’Italia, decise o comunque avallò quei derivati con Morgan Stanley faceva davvero gli interessi dell’Italia? Quel prodotto strutturato era davvero indispensabile per le finanze italiane? Qual era la ragione tecnica che spinse l’Italia a stipularlo?
Quel fantastico strumento finanziario è già costato all’Italia 2,5 miliardi di euro nel gennaio 2012, pagati pronta cassa dal governo di Mario Monti.
Ecco, Mario Draghi dovrebbe dirci se quel fantastico derivato giovava più al Tesoro italiano o a Morgan Stanley. Voi che dite, risponderà mai a questa semplice, lineare e, ne converrete, legittima domanda? Marcello Foa