Gli “errori” delle banche saranno pagati dai correntisti, non piu’ dallo Stato

bank27 giu – Cosa succede quando una banca fallisce? Chi deve accollarsi le perdite per la ristrutturazione o la liquidazione? La risposta, almeno fino al caso Cipro, era stata “Lo Stato”. Ebbene, con le nuove norme approvate nella notte dai ministri delle finanze dell’Unione Europea il cosiddetto “bail in”, il salvataggio effettuato imponendo perdite agli investitori dell’istituto di credito, viene ufficialmente preferito al “bail out”. Quello, cioè, pagato dai contribuenti.

Soddisfatto il ministro delle finanze irlandese Michael Noonan: “Le regole di risoluzione ordinata delle banche sono un pilastro essenziale dell’unione bancaria e l’accordo di questa notte segna un pietra miliare nei nostri sforzi per spezzare il circolo vizioso tra banche e debiti sovrani”.

Un altro passo nel tentativo europeo di darsi un comune assetto in campo bancario, dopo il trasferimento della vigilanza alla Banca centrale europea e la futura autorità di liquidazione bancaria.

“Nel futuro toccherà anche agli investitori più facoltosi pagare il conto”, spiega l’analista Fidel Helmer di Hauck & Aufhäuser. “Questo sicuramente non sarà piacevole per le persone coinvolte, ma calmerà i mercati sapere che gli Stati non dovranno più pagare per gli errori delle loro banche.”

L’accordo fissa un ordine preciso tra le categorie di investitori della banca: prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti, i depositi delle imprese e infine i conti correnti sopra i 100 mila euro. Garantiti, invece, quelli sotto tale soglia.

Prima usare soldi pubblici i governi imporranno perdite per almeno l’8% degli attivi. Come protezione ulteriore, gli Stati dovranno anche creare fondi nazionali di liquidazione bancaria imponendo dei prelievi alle banche, mentre l’uso dell’ESM, il Fondo salvastati europeo, sarà ristretto a precise condizioni.

Le misure rappresentano un compromesso tra due scuole di pensiero: la prima, guidata dalla Germania, che considerava essenziali norme armonizzate per tutta l’Unione; la seconda, capitanata dalla Svezia, chiedeva, invece, maggiore flessibilità per venire incontro alle specificità nazionali.

Alcuni governi erano infatti preoccupati che norme troppo rigide sull’imposizione di perdite agli investitori delle banche potessero far schizzare i costi di finanziamento. Una prospettiva non entusiasmante, in un periodo di crisi economica.