Una triplice crisi rischia di portarci alla Guerra mondiale

guerra21 giu – Il G8 di Lough Erne (Irlanda del Nord) si è aperto sotto la cappa di tre minacce che stanno spingendo il mondo sull’orlo di una conflagrazione, che potrebbe scoppiare giusto per errore di calcolo.

In primo luogo, il sistema finanziario transatlantico ha raggiunto un punto di svolta, caratterizzato da accresciute turbolenze sui mercati e dalla crescente percezione che le politiche di espansione di liquidità della Federal Reserve e della BCE hanno determinato una situazione impossibile, in cui ogni sforzo per fermare il pericolo di iperinflazione potrebbe causare un crollo immediato del sistema.

In secondo luogo, gli scandali sempre più numerosi che colpiscono l’amministrazione Obama, e lo espongono al rischio concreto di impeachment, non inducono il Presidente alla moderazione ma al contrario spingono Obama e la sua cerchia a commettere imprudenze.

In terzo luogo c’è la crisi siriana, su cui Obama ha deciso di spostare l’attenzione a causa del secondo motivo. Il 13 giugno il portavoce per la Sicurezza Nazionale del Presidente, Ben Rhodes, ha sostenuto che la comunità di intelligence USA fosse giunta “con grande certezza” alla conclusione che il governo di Assad avesse usato armi chimiche. Entro 24 ore dall’annuncio, il New York Times e il Washington Post riferivano che la decisione di armare i ribelli siriani era stata presa almeno una settimana prima, ma ci voleva una “prova” che è stata fabbricata proprio quando il Presidente Obama ne aveva bisogno per cambiare soggetto.

Ben prima di allora, il Primo ministro britannico David Cameron sosteneva ininterrottamente che Londra era giunta alla conclusione che Assad avesse usato armi chimiche contro la popolazione. Il governo francese ha sostenuto le stesse accuse. Sia Cameron che Hollande hanno esercitato pressioni su Obama perché si sganciasse dai “realisti” negli USA – segnatamente dal capo degli Stati Maggiori Riuniti – e passasse armi e bagagli alla linea della soluzione armata.

Il 12 giugno, il ministro degli Esteri britannico William Hague è volato a Washington per convincere l’amministrazione USA ad armare i ribelli siriani, in una fotocopia del viaggio di Tony Blair nel 2003 che precedette l’invasione dell’Iraq.

Il pericolo insito nella nuova fase della crisi siriana è che essa condurrebbe ad uno scontro diretto tra gli Stati Uniti e la Russia. Alti funzionari russi, dal Presidente Putin in giù, hanno ammonito che la cosiddetta “prova” dell’uso di armi chimiche da parte di Damasco non è convincente. Il principale consigliere di politica estera della presidenza, Yuri Ushakov, l’ha paragonata alle famose foto mostrate dal segretario di Stato Colin Powell alle Nazioni Unite per giustificare l’invasione dell’Iraq, affermando che essa “non appare convincente ai nostri occhi”.

Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha ridicolizzato l’idea che il regime di Assad userebbe armi chimiche proprio ora che sta facendo significativi progressi sul fronte militare, e per giunta in quantità minuscole, che servirebbero “solo ad auto-denunciarsi”. “Dal punto di vista militare non ha senso”, ha dichiarato Lavrov.

Anche il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon ha espresso scetticismo nel modo più diplomatico possibile, affermando che solo un’inchiesta “indipendente” potrebbe assicurare la “validità” delle prove presentate dagli USA.

È difficile che al G8 Putin abbandoni Assad al suo destino. A maggior ragione dopo che alla vigilia dell’apertura del vertice, sono state pubblicate le rivelazioni sul fatto che gli USA e la Gran Bretagna hanno il vizietto di spiare i capi di stato dei vertici internazionali, in prima fila i russi, per ottenere i “risultati desiderati” ai vertici.

A prescindere da quali armi gli USA daranno ai ribelli, la svolta politica di Obama viene già interpretata da altri come un segnale di via libera. L’Arabia Saudita ha annunciato che fornirà missili a spalla, e ha concentrato i propri aiuti sul Fronte Al Nusra e altri gruppi radicali. Riad investe risorse anche in Libano per combattere gli Hezbollah, in una alleanza di fatto con Israele.

Per quanto riguarda l’Iran, l’elezione del moderato Hassan Rohani difficilmente cambierà l’atteggiamento dell’asse Cameron-Hollande-Obama.

Fonte Movisol