4 giu – Il potenziale per conflitti sociali nei Paesi dell’Unione europea è più alto che nel resto del mondo e il gap già ampio tra ricchi e poveri, importante fattore di innesco, è destinato probabilmente ad allargarsi a livello internazionale. Lo dice oggi il rapporto annuale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil).
Secondo l’Oil i conflitti sociali – scioperi, blocchi delle attività, proteste di strada, dimostrazioni – sono aumentati nella maggior parte dei Paesi dalla crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008.
Ma il rischio, dice il rapporto, “è il più altro tra i 27 Paesi Ue: è cresciuto dal 34% in 2006-2007 al 46% nel 2011-2012”. In ogni caso, il rischio non è diffuso nello stesso modo e in almeno sette stati non è aumentato.
I Paesi più vulnerabili sono Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Italia, Portogallo, Slovenia e Spagna. Mentre un calo del rischio si è registrato dal 2010 in Belgio, Germania, Finlandia, Slovacchia e Svezia.
Complessivamente, il rischio di conflitto nella Ue “è probabile sia dovuto alle risposte politiche all’attuale crisi del debito sovrano e al loro impatto sulla vita delle persone e alla percezione di benessere”, dice il rapporto dell’agenzia Onu.
“Quest’arido scenario economico ha creato un ambiente sociale fragile, dato che meno persone vedono opportunità per ottenere un buon lavoro e migliorare i loro standard di vita”.
Il rischio di conflitto sociale è cresciuto anche in Russia e nei Paesi dell’ex blocco comunista che non fanno parte della Ue, nonché nel sud dell’Asia e nelle economie avanzate. Ma è calato invece in America Latina e nei Caraibi, nelle economie in crescita dell’Africa sub-sahariana, nell’Asia orientale e del Sud-est, nonché nel Pacifico.
(Robert Evans) reuters