Lo “ius soli” equivarrebbe a cedere la chiavi di casa senza alcuna garanzia

Lettera al giornale

cittadGentilissimo Direttore,

ci manca solo che la cittadinanza italiana venga concessa in base allo “ius soli”. Equivarrebbe a cedere la chiavi di casa senza alcuna garanzia. Per usare un’espressione da film western, è ora in atto un violento assalto alla diligenza-Italia, i difensori sono pochi, e poche quindi le speranze di uscirne indenni. Gli Italiani autoctoni, che, avendo la vocazione dei panda, rappresentano, verosimilmente ancora per poco, la maggioranza della popolazione nel nostro Paese, sono penalizzati da una natalità bassissima, come conseguenza anche della cronica miopia della classe politica. Quest’ultima, senza alcuna distinzione di colore politico, e quindi comprendendo Destra, Sinistra e Centro, si è rivelata nel corso di molti (troppi) anni incapace sia di dare indirizzi propulsivi in tal senso, sia perfino di percepire la realtà del Paese nella sua prospettiva storica. Era ed è ancora utile, in assenza di capacità inventive, copiare da Paesi vicini al nostro che hanno avuto maggiore consapevolezza dei problemi che il decremento demografico avrebbe prospettato. Per non far nomi, mi riferisco a Francia, Germania e a tutto il nord Europa.

Il rischio è quello di essere in qualche modo travolti da chi, sotto l’aspetto demografico, è spropositatamente più forte di noi. I numeri e i rapporti numerici sono impietosi e si commentano da soli. Di tutto ciò però noi non abbiamo contezza o cognizione. Date le premesse, mi pare allora che, più che di un rischio, si tratti di una certezza. Il calo demografico mette a rischio il nostro modello di società.

Le migrazioni epocali cui stiamo assistendo riguardano una umanità varia, che si porta appresso culture diverse. Se difendere le nostre regole e un nostro modello di società o invece programmarne la rottamazione è una nostra libera scelta. Sono moltissimi coloro che ritengono tale difesa inutile o dannosa. Chi propone di concedere la cittadinanza agli immigrati subito e in modo automatico, ben sapendo che un processo di integrazione reale (e non fasulla) richiede tempi molto lunghi, evidentemente non vede davanti a sé rischi di alcun genere.

Concedere tutto e subito comporta però che a integrarci dovremo essere noi. Per questo motivo, a mio parere, è quindi necessario perseguire una politica di effettiva integrazione degli immigrati nel nostro tessuto sociale, facendo sì che essi si adeguino alle nostre regole, piuttosto che fare l’esatto contrario, costringendo noi a sottostare a regole altrui. In altri termini, prima viene l’integrazione e poi la cittadinanza, e non il contrario. La legislazione attuale andrebbe perciò, a mio avviso,  profondamente rivista prendendo spunto da quella svizzera.

Se avessero le nostre leggi, gli Svizzeri sarebbero già stati sfrattati da casa loro, ovvero di essi resterebbero solo poche vestigia sulla faccia della terra. La cittadinanza e il diritto di voto, una volta acquisiti, non possono più essere revocati e perciò la loro concessione rappresenta un passaggio irreversibile. Se le nostre regole e i nostri modelli non vengono metabolizzati e accettati, col voto altrui possono essere cambiati, che lo si voglia o no. E’ assai facile che ciò accada, anzi per molti motivi quasi inevitabile. Come ribadisco, siamo dei panda, e come noi tutta la vecchia Europa, una specie in via di estinzione che sta per essere soppiantata da specie più forti, capaci di mettere in atto strategie vincenti. Per i panda ci vogliono leggi che non ne accelerino l’estinzione, serve l’aiuto del WWF.

Se vogliamo tenerci le nostre regole e non essere travolti da chi è più forte e motivato di noi, non dobbiamo avere troppa fretta a cedere le chiavi di casa. Il rischio è di rimanerne chiusi fuori. Si creerebbero infatti i presupposti per una “integrazione al contrario”, cioè a parti invertite. E’ allora forse insensato chiedere massima tolleranza, ma leggi svizzere sulla cittadinanza?

Con i più distinti e cordiali saluti.

Omar Valentini