Lavoro, proposta Capaldo: salari bassi, licenziamenti facili e zero contributi

lavoro27 apr. – (Adnkronos) – Contratti triennali non rinnovabili e rescindibili, senza motivazione e con un semplice preavviso di 30 giorni, con nessun onere contributivo e fiscale a carico di imprese e lavoratori. E’ la carta che propone di giocare contro la disoccupazione Pellegrino Capaldo. Un’opzione in deroga alle leggi esistenti, avanzata attraverso la Fondazione nuovo millennio, che, nelle reazioni raccolte dall’Adnkronos, accende il dibattito quando e’ in via di formazione, negli uomini e nel programma, il nuovo governo guidato da Enrico Letta.

Con il mercato del lavoro in crisi, e la creazione di nuovi posti indicata da tutti come una priorita’, si incrociano valutazioni, obiezioni e critiche di tre ex ministri del lavoro, Tiziano Treu, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, di un giuslavorista come il senatore di Scelta Civica Pietro Ichino, di un industriale di lungo corso come Guidalberto Guidi e di un economista come Giuseppe Di Taranto. Nettamente contraria, invece, la posizione di Cgil, Cisl e Uil.

La proposta di Capaldo prevede ‘burocrazia’ zero per i licenziamenti, possibili con una semplice raccomandata; tetto prefissato ai salari, fino a 1000 euro per un tempo pieno e fino a 500 per 4 ore di part time, e nessuna contribuzione ne’ alcuna ritenuta fiscale a carico di lavoratori e imprese, che devono pero’ beneficiare di un credito d’imposta del 30% da compensare fiscalmente. E’ inoltre possibile trasformare i contratti triennali in contratti a tempo indeterminato ma solo se “nelle more delle loro validita’, il datore di lavoro opera licenziamenti di dipendenti gia’ in forza”. Per la copertura dei contributi a carico dello Stato, Capaldo suggerisce la “cessione di immobili di proprieta’, scelti e valutati in contraddittorio“.

La proposta, secondo l’ex ministro del lavoro Maurizio Sacconi, “e’ interessante perche’ muove dalla constatazione di un mercato del lavoro bloccato anche in relazione alle rigidita’ introdotte dalla riforma Fornero”. L’idea, fa notare l’esponente del Pdl, “riprende la nostra proposta di abbattimento del costo indiretto del lavoro per un arco pluriennale, soprattutto con riferimento ai piu’ giovani”.

Un altro ex ministro del lavoro, ma di area Pd, Tiziano Treu, mette un paletto preciso. “Si puo’ discutere di tutto, ma il punto fermo deve essere la contribuzione. Capisco la flessibilita’, e ci sono formule simili che sono state gia’ seguite in altri Paesi e in parte con le startup in Italia, ma senza contribuzione sarebbe inaccettabile, per il resto si puo’ vedere”, spiega.

Secca, sempre in casa Pd, la bocciatura di Cesare Damiano: “avanti di questo passo saranno i lavoratori a versare un contributo per essere assunti”. E, ancora: “non ho mai avversato la buona flessibilita’”, ma la proposta “va al di la’ di qualsiasi ragionevole ricetta di stimolo per la ripresa dell’occupazione”.

Condivisione dell’obiettivo di fondo ma anche diverse obiezioni da parte del senatore di Scelta Civica, e giuslavorista, Pietro Ichino. La proposta “coglie l’esigenza urgente di ridurre fortemente il cuneo fiscale e contributivo che oggi raddoppia il costo del lavoro rispetto alla retribuzione netta che il lavoratore subordinato effettivamente percepisce” anche se “risolve il problema in modo un po’ troppo semplicistico e con qualche vero e proprio errore tecnico, prestando il fianco a diverse obiezioni”, spiega. E la prima riguarda la copertura finanziaria della contribuzione pensionistica figurativa, che viene interamente posta a carico dello Stato: “tutti sanno che la cessione degli immobili di proprieta’ pubblica richiede tempo e non puo’ essere compiuta in modo affrettato, se non si vuole rinunciare a piu’ di meta’ del valore di mercato del bene venduto”, ricorda Ichino.

Industriale di lungo corso, da sempre schierato su posizioni molto ferme nelle relazioni sindacali, l’ex vicepresidente di Confindustria Guidalberto Guidi parla di una proposta che “puo’ servire a qualcosa”, ma va oltre: in generale “una ricetta anti disoccupazione non puo’ non fare i conti con la legge 300 del 1970, impropriamente detta Statuto dei lavoratori a cui si deve gran parte della difficolta’ di assumere da parte delle imprese”.

La sintesi e’ estrema. “Oggi nessun imprenditore puo’ permettersi di assumere ne’ con un contratto a 3 anni ne’ a maggior ragione con un contratto a tempo indeterminato finche’ c’e’ un mercato nel quale separarsi da un dipendente e’ piu’ difficile che separarsi da una moglie”, spiega Guidi.

Dal mondo accademico, arriva l’analisi di Giuseppe Di Taranto, ordinario di storia dell’economia e dell’impresa alla Luiss. “Ho condiviso ‘la proposta Paese’ avanzata in passato da Pellegrino Capaldo, ma trovo questa seconda proposta troppo ardita (o coraggiosa)”. E’ una proposta, spiega l’economista, “in deroga a tutte le leggi esistenti e quindi anche in deroga ai regolamenti europei nel campo del lavoro”. Una obiezione sostanziale e’ quella che riguarda la possibilita’ di regolarizzare a tempo indeterminato i contratti solo in presenza di un corrispondente licenziamento. In questi termini, la proposta “non accelera il processo di occupazione, ma provoca un processo di sostituzione dell’occupazione”.

Palesemente contraria la posizione dei sindacati, che parlano di una proposta senza prospettiva, un po’ avventurosa, che non costruisce le condizioni affinche’ il lavoro ci sia, e che farebbe un danno serio non solo ai lavoratori ma a tutto il Paese. Il modo per far ripartire il mercato del lavoro, gia’ c’e’, dicono ad una sola voce Cgil, Cisl e Uil: si chiama apprendistato, si riparta da li’. “Altre soluzioni non farebbero l’interesse del Paese e riaprirebbero uno scontro sui licenziamenti”, sintetizzano.

“Se la soluzione – dice il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy- e’ non pagare le persone, non mi sembra una prospettiva seria per due motivi: per i danni alle persone che non avranno sostanzialmente un futuro pensionistico, con un reddito che prescinde dalla professionalita’; e per i danni che farebbe al sistema perche’ si avranno nel tempo una quantita’ di lavoratori a basso reddito in una fase in cui il problema e’ il basso consumo”. Ad ammonire sul rischio di “avventurarsi verso inedite quanto rischiose nuove tipologie contrattuali” e di “riaprire una discussione sulle modifiche all’articolo 18”, anche la Cisl che pure e’ sempre stata “favorevole a forme di flessibilita’ in ingresso”. “Esiste gia’ nel nostro ordinamento una tipologia contrattuale fortemente agevolata per il lavoro dei giovani: e’ l’apprendistato, sul quale si deve ragionare per renderlo piu’ appetibile”, spiega il segretario confederale Cisl, Luigi Sbarra.

No deciso anche da parte Cgil. “Abbiamo bisogno di costruire le condizioni affinche’ il lavoro ci sia e non mi pare che questa proposta lo faccia”, dice il segretario confederale Elena Lattuada, che ricorda come di forme di precarieta’ il sistema del lavoro italiano ne preveda gia’ oltre 20. “E nonostante questo – aggiunge- mi pare che la disoccupazione non ne abbia risentito. Il che dimostra anche come il lavoro non si crea riducendo i diritti”. adnk