28 mar – Fra le due Coree cade la linea, ma resta in piedi l’attività industriale. Voce grossa e venti di guerra si inchinano all’imperativo della cooperazione economica.
Questa, almeno, l’impressione a Kaesong all’indomani del taglio dell’ultima linea rossa fra i due governi. Il transito di lavoratori sudcoreani conferma il miracolo di questo inedito “laboratorio di convivenza”, inaugurato nove anni fa: un distretto industriale finanziato da Seul in territorio del Nord, e che da allora porta nemici giurati a lavorare gomito a gomito, in nome del Dio denaro.
Le voci sudcoreane raccolte in giornata al confine si dividono tra noncuranza e timori. A chi dice che nulla sembra esser cambiato nelle ultime ore altri replicano dando sfogo alle inquietudini sempre crescenti dall’ultimo test nucleare di Pyongyang. “Quello – dicono – è stato il punto culminante. Venire a lavorare qui è per noi ormai troppo rischioso”.
Il timore è in particolare che Pyongyang alzi il livello di scontro e chiuda il confine, di fatto “imprigionando” sul suo territorio le centinaia di sudcoreani che lavorano a Kaesong.
Una prospettiva che sembra però scoraggiata da numeri: impiegati circa 50.000 nord-coreani, Kaesong è ormai tra le rare “casseforti industriali”, ancora capaci di pompare nel Paese dollari americani, per di più nell’ordine del miliardo e mezzo all’anno.
Oggi cruciale per l’affaticata economia del Nord, il distretto della “cooperazione forzata”, si ispira al principio squisitamente capitalistico di ottimizzare i margini di profitto, offerti dal basso costo della manodopera locale. Una fessura appena nella corazza ideologica di Pyongyang, a cui la sirena di dollari ed emancipazione economica dalla Cina, difficilmente consentiranno però di chiudersi. euronews