Sangue italiano: per l’euro, ci hanno rubato 600 miliardi

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20 mar – In media, fin dal lontano 1992, spariscono dalla circolazione circa 30 miliardi di euro all’anno, necessari a sostenere gli impegni di Maastricht. Sono andati alle banche, straniere e italiane. Una voragine: negli ultimi vent’anni, gli italiani hanno versato 620 miliardi di tasse superiori all’ammontare della spesa dello Stato. Ovvero: 620 miliardi di “avanzo primarioâ€, il saldo attivo benedetto da tutti gli economisti mainstream e dai loro politici di riferimento, i gestori della crisi e i becchini della catastrofe nazionale che si va spalancando giorno per giorno, davanti ai nostri occhi: paura, disoccupazione, precarietà, aziende che chiudono, licenziamenti, servizi vitali tagliati. L’obiettivo di tanto sadismo? Entrare nei parametri di Maastricht e stare dentro l’Eurozona. Ma, nonostante l’immane sforzo, il debito pubblico non ha fatto che crescere, passando da 958 milioni a 2 miliardi di euro.

La realtà, scrive Pier Paolo Flammini su “Riviera Oggiâ€, è che tutto questo serve perché «lo scopo del debito pubblico non è di garantire la spesa pubblica, ma di fornire investimenti sicuri». Lo scrive chiaramente, sul “Financial Timesâ€, la Bank of International Settlements, cioè la super-banca delle banche centrali.

Ormai l’obiettivo dello Stato non è più il benessere della comunità nazionale, ma l’impegno a fornire titoli sicuri ai grandi investitori. Nell’Eurozona, aggiunge Flammini, l’Italia è stato il paese più penalizzato dai vincoli di bilancio. Fino al 2007, prima della “grande recessioneâ€, erano stati destinati alla riduzione del debito pubblico 270 miliardi di euro, per portare la percentuale debito-Pil dal 121,8% del 1994 al 103,6% del 2007. In pratica, 20 miliardi di euro all’anno sottratti alla circolazione privata per 13 anni. «Ora, il problema è che la contrazione del debito pubblico in rapporto al Pil, con una moneta straniera quale l’euro, deve essere pagata dai cittadini con tasse e tagli alla spesa».

Oltre ai 270 miliardi della prima, storica emorragia, altri 350 miliardi sono semplicemente stati bruciati per il pagamento degli interessi sul debito. E quando poi le cose sono cambiate a causa del crac finanziario, il castello è saltato.

Mario Monti, Olli Rehn e Angela Merkel, continua Flammini, hanno esibito la stessa identica ricetta per vincere la sfida col debito pubblico: e cioè meno spesa, tasse invariate o aumentate, riduzione di salari e stipendi, esportazioni privilegiate e riduzione dei consumi interni. E’ «la via del Bangladesh», osserva Flammini: «L’evidenza li ha sconfitti, ma non molleranno». Anche perché – permanendo l’euro e i suoi drammatici vincoli – non esiste alternativa. «E non ci sarà neppure per il prossimo governo che li accetterà: il debito pubblico, da saldo contabile, è diventato lo strumento attraverso il quale sottrarre potere a masse di popolazione sottoposte a shock informativi ed economici. Punto».

Nel 1980, nonostante l’inflazione indotta dal prezzo del petrolio (quadruplicato), l’italiano medio risparmiava il 25% del proprio reddito, e così fino al 1991. Gli operai compravano case anche per i figli, le famiglie facevano vacanze di un mese. Oggi, osserva Flammini, con le regole dell’austerità, abbiamo un’inflazione del 3% ma gli stipendi salgono solo dell’1,5%, il mercato immobiliare è fermo, il risparmio è crollato al 6% e le famiglie, in appena dieci anni, hanno aumentato i loro debiti del 140%.

«Quasi tutti ormai intaccano i risparmi di una vita, o sono sul punto di giocarsi i 9.000 miliardi di euro di risparmio privato nazionale, la ricchezza sulla quale sono puntate le fauci delle corporation internazionali che tengono in pugno i finti leader politici italiani», mentre sui media ha tenuto banco anche la retorica sull’Imu, che in fondo pesa appena 4 miliardi di euro.

Nel 1978, aggiunge Flammini, sarebbe stata la Banca Centrale, esclusiva monopolista della moneta, a fissare il tasso di interesse e bloccare l’espansione del deficit negativo, quello per gli interessi. «Ed è quello che dobbiamo chiedere a gran voce, subito: inutile chiederlo alla Bce.

Vogliamo tornare al denaro sudato con il lavoro e garantito dall’ingegno, e non dalla pura speculazione», sapendo che «il tasso naturale di interesse è zero». Chi ci ha guadagnato, dalla inaudita tosatura degli italiani? Quei 620 miliardi “rubati†ai contribuenti sono andati per il 43% all’estero, 250 miliardi finiti in banche straniere. Solo il 3,7% è andato a Bankitalia, mentre il 26,8% ad istituzioni finanziarie italiane, banche e assicurazioni, e infine il 13%, circa 80 miliardi, sono tornati direttamente nella disponibilità di privati cittadini italiani, ovviamente per lo più delle classi medio-alte.

«Siamo abituati ad ascoltare parole come “la corruzione ci costa 60 miliardiâ€, “l’evasione fiscale ci costa 120 miliardiâ€. In realtà – protesta Flammini – per quanto disdicevoli e da perseguire legalmente, queste voci (i cui importi sono poi da verificare) rappresentano una partita di giro interna con vinti e vincitori», mentre i 620 miliardi di avanzo di bilancio 1992-2012 sono frutto di una precisa scelta politica: «Sono soldi sottratti veramente ai cittadini e scomparsi dalla circolazione dell’economia vera per garantire la grande finanza». Aver trasformato il debito pubblico da puro dato contabile a cappio reale attorno al collo della società italiana, aggiunge Flammini, è la Flamminipiù grande responsabilità della classe politica dell’ultimo trentennio. «Nessuno, però, sta chiedendo scusa».

Basti leggere quel che Tommaso Padoa Schioppa scriveva sul “Corriereâ€: occorre «attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere».

Riforme strutturali, ovvero: eliminare tutto ciò che attutisce “la durezza del vivereâ€

E quello sarebbe stato un ministro del centrosinistra? «Ecco perché non vincono mai». Ma il peggio deve ancora venire, grazie agli impegni micidiali sottoscritti dal governo Monti a beneficio di Draghi, «garante del pagamento degli interessi degli italiani».

Col pareggio di bilancio inserito addirittura nella Costituzione, i circa 30 miliardi annui fin qui pagati dagli italiani saliranno a circa 90, per coprire del tutto la spesa per interessi. E con il Fiscal Compact, il salasso salirà ancora, dal 2015, fino a 140 miliardi – sempre per abbattere il debito.

Come farcela? «Con l’Iva al 23%, l’inflazione al 2%, una trentina di miliardi di tagli e altrettanti di dismissioni del patrimonio pubblico. Se poi si è poveri, chi se ne frega». (libreidee)