6 marzo – La vicenda della rinuncia ai rimborsi elettorali da parte del Movimento 5 Stelle parte da lontano, dai giorni del secondo V-Day, in cui si raccolsero le firme per tre referendum per abolire l’ordine dei giornalisti, i sussidi pubblici all’editoria e la legge Gasparri sul sistema radiotelevisivo.
In quell’occasione, lo staff di Grillo (non è dato sapere se con l’avallo di quest’ultimo o, come è oggi di moda, a sua insaputa) fece pervenire al comitato promotore dei referendum un documento con il quale lo stesso comitato si impegnava a delegare a Grillo, o persona da lui incaricata, la gestione dei rimborsi referendari (sì, esistono anche quelli).
Parliamo di tre milioni di euro circa che sarebbero arrivati nel caso si fosse raggiunto il quorum: “I sottoscritti promotori intendono con la presente attribuire formalmente ed irrevocabilmente al signor Giuseppe Grillo, in via esclusiva, ogni diritto al percepimento dei rimborsi di cui alla legge n. 157 del 3 giugno 1999, e ad usufruire di ogni altra agevolazione, prerogativa e facoltà previste per o conseguenti al compimento delle attività referendarie, rinunciando fin d’ora, a beneficio del signor Giuseppe Grillo o di persona che questi potrà indicare, ad ogni diritto in tal senso”.
Il documento non venne firmato e Grillo negò di essere a conoscenza della sua esistenza, anche se chi sottopose il documento al comitato promotore era un uomo della Casaleggio associati: il testo era stato preparato negli uffici di Milano dello spindoctor di Grillo. In ogni caso, la faccenda si esaurì perché nessuno dei tre referendum raggiunse il numero di firme sufficienti. Tuttavia, la vicenda può essere vista in una nuova prospettiva, alla luce di quanto avvenuto di recente con le parlamentarie. Grillo ha infatti fatto firmare ai candidati del 5 Stelle un documento con cui fin da ora i futuri onorevoli affidano la gestione dei fondi per i gruppi parlamentari allo stesso Grillo e a Casaleggio.
Meno di un anno e mezzo dopo la raccolta di firme per il referendum, viene ufficializzata la nascita del Movimento 5 Stelle. E riparte, all’interno dei gruppi locali, il dibattito sui rimborsi. Alcuni sono favorevoli, purché i fondi siano utilizzati in maniera trasparente, altri contrari. Risolve lo stesso Grillo, con un post sul proprio blog, a marzo del 2010: “I soldi trasformano la politica in una montagna di merda. Il MoVimento 5 Stelle RIFIUTA ogni contributo elettorale in caso di elezioni.”
Peccato lo scivolone del movimento in Emilia Romagna, che, sempre a marzo 2010, invia una richiesta ufficiale di rimborso elettorale all’Ufficio di presidenza della Camera (5 marzo 2010) protocollata dalla segreteria di Montecitorio e firmata dal promotore della lista Grillo in Emilia Romagna, Giovanni Favia. Nel documento, Favia scrive che, in qualità di promotore della lista, «richiede l’erogazione del rimborso connesso alla consultazione elettorale in oggetto». Solo in seguito, quando la stampa diffonde la notizia, viene inviato un fax a Montecitorio con l’esplicita rinuncia al rimborso. Si trattava, in Emilia Romagna, di poco più di 190.000 euro. Molto meno dei 264.000 euro, sempre di soldi pubblici, che il 5 Stelle emiliano percepisce ogni anno per il funzionamento del gruppo consiliare e l’assunzione di personale.
Poi, arriva lo scandalo di Lusi e dei fondi della Margherita. E il Parlamento, chiudendo la porta della stalla dopo che i buoi sono scappati, approva le nuove norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti. La legge è la numero 96, del 6 luglio di quest’anno, e nello specifico, proprio per la trasparenza, all’articolo 5 è chiarissima: i partiti e i movimenti politici, per avere diritto ai rimborsi per le spese elettorali, sono tenuti a dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto, “redatti nella forma dell’atto pubblico” e devono indicare “l’organo competente ad approvare il rendiconto di esercizio e l’organo responsabile per la gestione economico-finanziaria.”
In pratica, il “non-statuto” dei grillini, configurandoli come “non-associazione” (art.1), senza neppure un tesoriere responsabile della gestione dei fondi, li esclude automaticamente dalla possibilità di ricevere i rimborsi elettorali. Non rinunciano, dunque, i grillini siciliani. Semplicemente non ne hanno diritto.
Qualcuno avrebbe dovuto dirlo, ai 15 neoeletti del Movimento 5 Stelle all’Ars, che le norme in materia di rimborsi erano cambiate. Certo, Grillo lo sapeva, visto che dal suo blog tuona contro la nuova legge, e in particolare, contro l’emendamento, presentato dall’UdC, che condiziona l’erogazione dei contributi all’esistenza di uno Statuto, che prevede appunto la figura di un “tesoriere” legalmente responsabile della gestione dei fondi.
Dopo le consultazioni elettorali, invece, i 15 deputati del 5 Stelle si sono dati appuntamento all’Assemblea Regionale Siciliana per consegnare simbolicamente ai cittadini un assegno da 1.426.000 euro di rimborsi elettorali. Ma con la nuova legge, qualora ne avessero avuto diritto, sarebbero stati poco più di ottocentomila. Hanno anche spedito una lettera ufficiale per rinunciare ai rimborsi. Bel gesto. Ma decisamente superfluo.
Povertà francescana, dunque? Neanche per idea, perché per il funzionamento dei gruppi consiliari e le spese per il personale, gli eletti a 5 Stelle percepiscono ogni anno, sempre di fondi pubblici, ben più di quanto avrebbero ricevuto come rimborsi elettorali per tutta la legislatura.
Fonte BlogSicilia