Antonio Badini
Verso un Egitto democratico
Casa editrice Fazi
Il 30 giugno è una data storica per la transizione egiziana. È il giorno dell’atteso passaggio del potere dalla Giunta militare, alla guida del paese dalla caduta del Rais Hosni Mubarak, al neo-presidente Mohamed Morsi, il primo democraticamente eletto in Egitto con il recentissimo voto del 16-17 giugno. È una vittoria del fondamentalismo? Il presidente dei Fratelli Musulmani metterà in piedi una repubblica islamica o sarà, come promesso in campagna elettorale, il “presidente di tutti”? Dove sono finite le istanze laico-liberali che avevano animato Piazza Tahrir?
Antonio Badini, saggista e consulente aziendale, ha lasciato il Servizio diplomatico nel 2007 col grado di ambasciatore; è stato consigliere diplomatico del presidente del Consiglio Bettino Craxi, vicedirettore generale della Cooperazione allo sviluppo, direttore generale per il Medioriente e Mediterraneo, coordinatore nazionale per il partenariato euro-mediterraneo, rappresentante personale del presidente del Consiglio per il vertice del G7, ambasciatore d’Italia ad Algeri, Oslo e Il Cairo. Nella collana di ebook One Euro ha già pubblicato Il futuro dell’Egitto. Democrazia islamica o nuovi Faraoni?
INTERVISTA AD ANTONIO BADINI, DOMENICA 17 FEBBRAIO 2013 (a cura di Luca Balduzzi)
Che cosa ha fatto sì che la primavera araba cominciasse in tempi abbastanza ravvicinati in tutti i paesi interessati?
La rabbia e l’umiliazione nei confronti di una oppressione ottusa che veniva praticata nei Paesi interessati dalla «Primavera araba», a cominciare dalla Tunisia, dove la corruzione e il nepotismo erano talmente radicati che senza un appoggio della «casta» dei privilegiati non si poteva nemmeno ottenere una autorizzazione o un permesso dagli organi dell’Amministrazione. Ma il vero detonatore, quello che d’un colpo ha fatto sparire la paura nella gente, è stata la violenza morale e fisica di cui erano portatrici la Polizia e i Servizi segreti che non si fermavano a nulla pur di piegare la volontà dei cittadini che osavano alzare la testa. Ricordate il motto di Sant’Agostino «Si alius cur non ego?». Ebbene, cosi é stato in Egitto, in Libia, nello Yemen e da ultimo in Siria; se altri hanno osato difendere la loro dignità, perché non posso farlo anch’io?
In che cosa si è caratterizzata la primavera egiziana?
Nella riappropriazione dei diritti di cittadinanza, che erano negati da regimi dispotici, pronti a tutto pur di imbrigliare la società civile e ridurla come un gregge che segue passivamente il pastore, nel caso specifico il Dittatore, vero “Legibus solutes”, come era il Re nell’Europa feudale, prima della concessione delle costituzioni liberali, ovvero delle rivoluzioni di piazza come avvenne in Francia con la presa della Bastiglia. Ma in Europa e negli Stati Uniti si é purtroppo data una lettura diversa: l’aspirazione alla democrazia e ai valori dell’occidente. Ci si é dimenticati che la democrazia é un processo che si sviluppa giorno dopo giorno ed è guidato in ciascun paese da tempi e modalità diversi, secondo le tradizioni e i valori propri di ciascuna nazione. Le rivolte nei paesi arabi erano contro il dittatore e non le tradizioni e i suoi valori, inclusi quelli religiosi.
La primavera egiziana ha, purtroppo, conosciuto anche sviluppi più violenti rispetto ad altri paesi…
E’ vero, l’Egitto è il Paese più popoloso e quello con una società relativamente più pluralista, per la sua stessa Storia. Era perciò da attendersi l’emergere di contrasti e divisioni che erano solo sopiti durante la dittatura, che divideva il Paese in due sole categorie, i seguaci perché eletti e i paria, i senza diritto. Ma la riconquista della libertà ha restituito forza alle diverse identità, a partire dai copti, cristiani di oriente che si dividono in ortodossi, la maggioranza, e cattolici, che sono la minoranza, e che complessivamente formano ben il 10% della popolazione. Non dimentichiamoci poi che l’Egitto é la patria dei Fratelli musulmani, la cui corrente estremista aveva in passato ispirato la «Jihad», termine che in arabo ha diverse accezioni, ma che é diventato famoso in occidente per il significato che gli è stato attribuito dai combattenti per la lotta santa; appunto le milizie islamiste.
In che maniera sta cambiando il “nuovo” Egitto? E’ un cambiamento che sta rispondendo alle aspettative?
L’Egitto lotta per dare forma istituzionale al confronto aspro e cruento che si sta realizzando tra le forze politiche e i gruppi di interesse che agiscono nel Paese. Per capirne la portata è sufficiente ricordare che nelle elezioni che hanno prodotto il primo presidente veramente voluto dal popolo, Mohamed Morsi, islamista dei Fratelli musulmani, ha prevalso sul suo avversario, Ahmed Shafik, ex Generale e ultimo primo Ministro del periodo di Mubarak, di pochissimo, di poco più dell’1%; il che mostra un Paese spaccato, che dovrà far prova di grande saggezza per portare avanti una transizione, che é stata lunga e che ancora non lascia intravedere un approdo certo, in quello che possiamo definire una nuova e forse originale forma di democrazia; ancorata, tuttavia, allo stato di diritto, che pone la legge al di sopra di tutti e tutto poiché di fronte ad essa vige il principio dell’uguaglianza.
In che modo si stanno ponendo/dovranno porsi i paesi occidentali nei confronti del “nuovo” Egitto? E l’Italia in particolare…
Se guardiamo l’esperienza di molti paesi occidentali, noteremo che quasi sempre si é passati dalla dittatura alla democrazia attraverso una guerra civile, che in Egitto nonostante le frequenti e talvolta violenti manifestazioni di Piazza, non vi é stata. L’occidente finora é passato da uno sbaglio all’altro. Prima, ha esultato poiché aveva capito che la teoria di Samuel Huntington dello scontro delle civiltà veniva sconfessata dagli stessi popoli musulmani; poi si é stracciato i capelli al grido «Riecco il feroce Saladino». Peccato che i politici italiani, evidentemente poco colti, si siano uniti al coro dimenticando la nostra gloriosa Storia e i lungimiranti nostri Padri fondatori che con la loro intelligente costituzione hanno schivato il grande rischio di un protrarsi della guerra civile, «tra bianchi e rossi». Dovremo renderci conto che la democrazia non è antinomica all’Islam e saperlo provare con i fatti. Avremmo, forse, dovuto raccontare «al caminetto» la nostra Storia all’amico popolo egiziano.
Rimane più che mai attuale la questione palestinese, e abbiamo già potuto vedere quale posizione il “nuovo” Egitto abbia assunto in questa vicenda…
A ben guardare non potevamo aspettarci nulla di meglio delle prime reazioni dell’Egitto di Morsi, che ha «messo la faccia» mediando tra israeliani e Hamas, che è una filiazione dei Fratelli musulmani, ed ha evitato una nuova guerra a Gaza, una striscia di terra dove la gente vive uno sopra l’altro. Uno spaccato, immagine della sofferenza che lacera un popolo che attende ancora dalla Comunità internazionale la giustizia tante volte promessa e tante volte negata. Non si può pretendere che in futuro sia l’Egitto a immolarsi in nome di un Occidente cinico e di una Europa che continua a pagare lauti stipendi alla «Baronessa» Ashton e ancora peggio all’«esponente di spicco» del Lib-Lab, Blair, solo perché essi compiano passi di minuetto per la delizia di Netanyahu. Prima di attendersi aiuti dagli altri, l’UE dovrebbe assumersi le sue responsabilità.