Sette domande sui valori non negoziabili
1. Siete disposti ad approvare la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento nella formulazione attuale, così come è stata approvata dalla Camera?
«Io amo l’Italia» non è disponibile ad approvare una simile proposta di legge, in quanto essa è il cavallo di Troia per l’introduzione, anche per via giurisprudenziale dell’eutanasia. Il principio è che la vita non è un bene disponibile. Ricordiamo che la costituzione vieta la disponibilità dei organi, ritenendo la salute un bene indisponibile, quindi neppure rinunciabile dalla persona: se non è disponibile/rinunciabile la salute, come può esserlo la vita? Nessun intervento legislativo dovrebbe mai essere ammesso in tema di “fine vita”, perché altrimenti, a prescindere dalle intenzioni, perfino rette ed oneste, che alcuni parlamentari potrebbero avere, si aprirebbe la strada ad una deriva normativa che, col mutare delle maggioranze parlamentari, condurrebbe ad esiti nefasti. Ciò premesso, prendendo atto che, nel contesto attuale, una certa magistratura, travalicando i limiti delle proprie funzioni con pronunce contra legem, si è arrogata la facoltà di decidere essa stessa quando è lecito “staccare la spina” e quando no (si veda il caso Englaro), e che occorre evidentemente impedire simili abusi, la nostra posizione è per una legge – meglio se di rango costituzionale – che chiarisca, senza lasciar spazio ad interpretazioni divergenti, i seguenti punti:
a) non si può mai stabilire che una vita non sia degna di essere vissuta e, quindi, possa essere soppressa;
b) il malato e/o il disabile devono essere assistiti fino all’ultimo, anche al fine di alleviare loro le sofferenze. Di qui il nostro assoluto favor allo sviluppo delle cure palliative. L’assistenza, come, ad esempio, la somministrazione, anche mediante flebo o altri sistemi meccanici, di nutrimento ed idratazione (cibo ed acqua), non può MAI essere considerata cura rifiutabile dal paziente o da chi pretende di interpretarne la volontà (si ricordi ancora il caso Englaro);
c) l’accanimento terapeutico, vale a dire la somministrazione di medicinali che hanno un costo, in termini di sofferenza per il malato, sproporzionato rispetto ai benefici arrecatigli, anche in termini di prolungamento della vita, deve essere rifiutato. In quest’ottica e solo in quest’ottica si deve intendere il diritto al rifiuto delle cure, costituzionalmente garantito.
2. Considerando che le linee guida della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita dovranno essere rinnovate, siete disposti a chiarire che la diagnosi preimpianto sugli embrioni non può essere consentita?
Siamo assolutamente disposti, anzi riteniamo che sia necessario ed urgente farlo nel momento in cui constatiamo che la magistratura ha cominciato ad autorizzare tale pericolosa pratica (di nuovo, andando contra legem, cioè contro le attuali linee guida della stessa legge 40, che non consente la selezione eugenetica degli embrioni). E’ infatti evidente che l’espressione “diagnosi preimpianto sugli embrioni” – magari col pretesto di scoprire la predisposizione del nascituro a future patologie – altro non è che un garbato composto di parole dietro il quale si cela un’incontrollabile deriva eugenetica (allo stesso modo in cui “interruzione volontaria della gravidanza”, nella legge n. 194/78, serviva a mascherare dietro un linguaggio tecnico e neutro, adatto a tranquillizzare ed addormentare le coscienze, la realtà terrificante dell’aborto, che è l’uccisione di un essere innocente ed indifeso da parte della sua stessa madre).
3. Siete disposti a difendere i confini della legge 40?
Se per confini della legge 40 si intendono gli attuali divieti di congelamento o “crioconservazione” degli embrioni, di fecondazione eterologa, di clonazione e sperimentazione scientifica sugli embrioni medesimi, siamo assolutamente schierati in difesa di tali invalicabili paletti (che riteniamo fortemente a rischio perché, quando si scardina un principio, nel nostro caso quello della “naturalità dell’atto procreativo”, normalmente è solo questione di tempo prima che, magari in esito ad un processo lento e combattuto, si arrivi alle peggiori conseguenze…sotto questo aspetto, ci permettiamo una piccola digressione al solo fine di rilevare che la legge 40, per venire incontro al pur comprensibile ed umanamente encomiabile desiderio delle coppie formate da uomo e donna di avere dei figli, di fatto ha introdotto significative eccezioni al principio di naturalità della procreazione, causando al contempo l’eliminazione volontaria di un altissimo numero di embrioni, e può essere difesa soltanto muovendosi in un’ottica di “male minore”, mentre l’obiettivo ultimo, almeno per quanto ci riguarda, non può non essere quello di un pieno riallineamento della legislazione parlamentare, in tutti i campi ed in tutte le materie, con quei principi di diritto naturale che la ragione umana è chiamata a scoprire, promuovere e tutelare, non certo a creare o peggio ancora scardinare).
4. Pensate di mantenere le attuali linee ministeriali per l’uso della pillola abortiva Ru486, che prevedono il ricovero ospedaliero ordinario, e non il day hospital, per i giorni richiesti dall’intera fase abortiva (tre in media)?
Essendo «Io amo l’Italia» strenuamente schierata a difesa della vita, a partire da quella maggiormente indifesa, essa è per vietare l’uso e la commercializzazione della Ru486 come di tutti i metodi di aborto chimico e farmacologico. L’aborto è, in tutte le sue forme, un omicidio/suicidio, in quanto uccide il nascituro e provoca la morte spirituale della madre: per ciò che riguarda le madri che hanno abortito, si vedano i più recenti studi sulla sindrome post aborto, sulle percentuali di suicidi, sull’incidenza della depressione, sulle percentuali di devianza, sulle percentuali di incapacità affettivo-sessuale, sulle percentuali di abuso di sostanze autodistruttive (dall’alcool, agli psicofarmaci, fino agli stupefacenti)…
5. Pensate di regolamentare le unioni di fatto eterosessuali e omosessuali o ritenete che basti garantire ai componenti di una coppia i diritti individuali?
La regolamentazione per legge delle coppie di fatto è, da «Io amo l’Italia», ritenuta, come dicono le parole, una contraddizione in termini. Una situazione di fatto è tale proprio perché non è vincolata da norme giuridiche. La convivenza è giuridicamente libera e non crea né diritti, né doveri, in quanto situazione di fatto che lascia le persone che la praticano individui, senza creare, tra loro, nessuna società, né naturale, né giuridica: sarebbe assurdo che la semplice convivenza restringesse i diritti e creasse dei doveri in capo ai conviventi o all’intera collettività. La convivenza riguarda l’etica e non il diritto. Ecco che essa non muta i diritti ed i doveri delle persone.
Discorso totalmente diverso vale per la famiglia fondata sul matrimoni tra un uomo ed una donna (pare incredibile, ma, con i tempi che corrono è necessario specificarlo). La famiglia nasce da un negozio giuridico (o “convenzione matrimoniale”, non immediatamente equiparabile ad un contratto in quanto si ritiene che l’elemento spirituale, l’”affectio maritalis”, sia prevalente rispetto a quello patrimoniale), che prevede l’accordo esplicito e formalizzato in determinate formule o riti di due soggetti, il marito, la moglie, con la partecipazione per così dire “silente” di un terzo interessato, lo Stato. Ciascuno di questi tre soggetti accetta di comprimere i propri diritti e le proprie libertà per far nascere la cellula fondamentale della società. I coniugi rinunciano a loro diritti economici (ad esempio, non possono lasciare tutto il loro patrimonio post mortem a chi vogliono, ma sono costretti a lasciarne una parte al coniuge e ai figli, la cosiddetta legittima), a loro libertà di vita (ad esempio, sono obbligati alla convivenza), assumono obblighi reciproci maggiori di quelli che hanno nei confronti di estranei (ad esempio, l’assistenza ed il mantenimento)… Lo Stato impone obblighi persino a terzi (pensiamo, ad esempio, al diritto di subentro del coniuge vedovo nel contratto di affitto), prende impegni economici (ad esempio, le pensioni di reversibilità)…
Tutto ciò è razionale e, quindi, rispettoso dell’art. 3 della Costituzione, solo se è rivolto alla tutela della famiglia, che è il pilastro della società e lo strumento della sua perpetuazione armonica nel tempo: non solo procrea figli, ma li educa e consente loro di crescere nell’unico ambiente giuridico che può permettere la loro crescita secondo natura, nell’interesse loro e dello Stato.
Lo stesso termine matrimonio, nella sua etimologia, significa la situazione giuridica che permette meglio alla donna di essere madre.
6. Prevedete la proposta di un disegno di legge specifico sull’omofobia?
«Io amo l’Italia» è assolutamente contraria ad ogni legge sull’omofobia, in quanto lesiva dell’art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza). Ogni tipo di violenza (fisica, morale e/o psicologica) ai danni di qualunque persona, indipendentemente dal fatto che sia omosessuale o eterosessuale, è già giustamente punita dalla legislazione vigente. Qualora la violenza sia motivata da ideologie discriminatorie, è già prevista l’aggravante dei motivi futili e abietti. Una legge sull’omofobia contraddirebbe il principio di uguaglianza: non si capisce perché chi esercita violenza nei confronti di un omosessuale, perché è omosessuale, deve essere punito in maniera più pesante di chi esercita violenza nei confronti di una persona bionda, perché è bionda.
7. Cosa pensate delle scuole paritarie e come pensate eventualmente di sostenerle?
Le scuole paritarie sono una garanzia di libertà ed un risparmio per lo Stato. Su questo tema si scontrano lo statalismo di origine giacobino-marxista ed il concetto di sussidiarietà. Nella prima concezione i servizi pubblici devono essere erogati dallo Stato, tramite una sua filiera, normalmente di pubblici dipendenti, perché lo Stato, oltre al servizio, deve garantire l’indottrinamento di chi lo riceve, secondo il ricatto: se vuoi il servizio devi prendere anche l’ideologia statale che vi soggiace. Nella seconda, invece, lo Stato deve fare in modo che il cittadino sia posto nella condizione di scegliere il servizio, su cui lo Stato deve vigilare solo per verificarne il livello, non l’indirizzo; tale servizio può essere erogato dallo Stato in prima persona e/o da privati, che, in tal caso, svolgerebbero funzione pubblica. Le scuole paritarie, per venire alla domanda, sono tali perché lo Stato riconosce che il servizio erogato è a livello non inferiore a quello erogato dalle scuole statali. Ecco che favorire la possibilità di accesso dei cittadini, anche non abbienti alle scuole paritarie, qualora decidano liberamente di servirsene, è un miglioramento del servizio scolastico offerto, non fosse altro che nel senso di un aumento della libertà di scelta.
Da quanto detto, emerge chiaramente che «Io amo l’Italia» non vuole sostenere in alcun modo le scuole paritarie, ma vuole sostenere i cittadini e le famiglie nel loro diritto di sceglierle, anche con aiuti e detassazioni. Il limite di ciò si trova nel dettato costituzionale, che vieta oneri per lo Stato: se favorire le scuole paritarie costasse di più, soprattutto in tempi di crisi, bisognerebbe optare per la scelta più economica. Ma, visto che l’aiuto alle famiglie a scegliere la scuola paritaria comporta un risparmio di denaro e non un costo, tale aiuto si può estendere finché ciò possa garantire la piena libertà di scelta e rimanga un risparmio per le casse statali.
di Tommaso Monfeli e Carlo Maria Manetti