29 genn – Soltanto un complesso scenario di guerra può giustificare quanto accadde a al Dc9 Itavia sui cieli di Ustica. E’ questo in sostanza il contenuto della sentenza che condannava i ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire i parenti di alcune vittime e confermata ieri dalla Cassazione. In particolare, a supporto della tesi che a farlo precitare sia sia stato un missile, secondo la Corte di appello civile di Palermo, vi è “la presenza di un altro velivolo lungo la stessa aerovia assegnata al Dc 9 Itavia a ridotta distanza e la circostanza, desunta dai nastri registrati a Fiumicino, che intorno al volo del Dc 9 vi fosse uno scenario alquanto complesso (tracce di velivoli non identificati) elementi che non si spiegano altrimenti se non appunto con uno scenario di guerra, non sembrando appunto verosimile che una bomba esploda su un aereo di linea (nell’anno 1980 e su una rotta nazionale) proprio mentre lo stesso veniva utilizzato come schermo da un velivolo non identificato”.
Tutti gli elementi valutati dalla Corte – Tra gli elementi valutati dalla Corte di appello civile di Palermo anche “una lampadina per l’illuminazione concentrata dall’alto risultava col bulbo in vetro integro così com’ era integro il bulbo di vetro della lampada del bagagliaio principale”. La Corte, tra l’altro, ha anche valutato che i tappetini sotto le poltrone non presentavano tracce di esplosione o combustione ma tracce di azioni meccaniche violente, che nessuna maschera d’ossigeno risultava fuoriuscita dalla propria sede tra quelle ritrovatele, che le prove acustiche sul contenuto del cockpit voice recorder avevano consentito di valutare come esterni i rumori registrati (dal microfono di cabina) qualche secondo prima dell’interruzione elettrica.
Dall’assenza di ustioni sui cadaveri alla traiettoria delle schegge – La Corte spiega anche come le perizie dimostrino che non è stata trovata traccia di esplosione in diverse parti dell’aeromobile ma che nella parte inferiore dello sportello del vano bagaglio anteriore erano stati trovati due fori con andamento dall’esterno all’interno prodottisi a velocità superiori a quelle compatibili con l’impatto. Per i giudici palermitani questi elementi “non si conciliano con l’ipotesi di azioni violente all’interno dell’aeromobile e fanno senz’altro ascrivere il precipitare dell’aereo all’abbattimento da parte di un missile (il tipo ‘continuos rod’ indicato dalla maggioranza dei periti aveva maggiori probabilità di non lasciare tracce) in relazione alla traiettoria dall’esterno all’interno delle schegge rilevate, dall’assenza di tracce interne di esplosioni su parti recuperate, dall’assenza di ustioni su tutti i cadaveri recuperati e della mancanza di tracce di Co e Hcn nei polmoni e nel sangue di quelli sottoposti ad autopsia”.
L’avv Fallica: “Missile per abbattere l’aereo di Gheddafi” – La tesi del missile convince anche il legale dei familiari di alcune vittime, Vincenzo Fallica. “Dopo aver letto migliaia di pagine, di atti processuali, i risultati delle perizie è mia convinzione che ad abbattere il Dc 9 Itavia nei cieli di Ustica fu un missile lanciato per abbattere l’aereo in cui si credeva vi fosse Gheddafi”. “E’ una mia convinzione personale – dice. Potrebbe anche essersi trattato di un’esercitazione. La verità però, che forse non si saprà mai, non c’entra con il procedimento di responsabilità civile. Si vuole punire un pilota, magari francese, che ha risposto ad una catena di comando magari interforze come quella della Nato? Per ora non si può. C’é il mistero. Se il mistero verrà svelato allora sapremo la verità e gli autori della strage potranno essere puniti. Ma da subito si poteva dire che la responsabilità di quanto accaduto era dello Stato che doveva vigilare e proteggere i cittadini. Su questo la Cassazione dopo quasi 33 anni si è espressa ieri”.
La storia di Ustica si è intersecata anche con quella della Banda della Uno Bianca – Nell’ormai lontano 1995 un appartenente alla banda della Uno Bianca, l’ex poliziotto Pietro Gugliotta, durante un interrogatorio al pubblico ministero Valter Giovannini (oggi Procuratore aggiunto di Bologna) – che si è occupato del filone bolognese delle indagini e che in Corte d’Assise fece condannare tutti gli imputati – riferì che anni addietro mentre si trovava in auto con Roberto Savi (il poliziotto della volanti ritenuto capo della banda, detto anche ‘il corto’) sull’autostrada che portava in Liguria, dove andavano periodicamente a pescare, passando nella zona al confine tra Liguria e Toscana ‘il corto’, indicando gli i monti tra le due regioni, gli disse che in quella zona il Mirage francese, di ritorno dall’azione militare a Ustica, aveva scaricato un serbatoio supplementare. Serbatoio montato appositamente per consentire al velivolo di coprire l’andata ed il ritorno tra la base di Tolone e l’area dove venne abbattuto il DC9.
Il mirage francese, ne parlò anche Cossiga – Le ricerche sul fondale, che vennero svolte anni dopo, individuarono, nella zona dove erano affondati alcuni rottami del velivolo, un serbatoio che, si disse all’epoca, non era ricollegabile a quanto accaduto nei cieli di Ustica. Giovannini trasmise il verbale al giudice Rosario Priore che indagava su Ustica. Giovannini, oggi si limita a ricordare: “mi recai a Roma ove nel carcere militare insieme al collega Priore interrogammo Roberto Savi il quale, apprese le dichiarazioni rese dal Gugliotta, si limitò a dire che costui era un pazzo”. In sostanza ‘il corto’ non confermò né smentì, con un atteggiamento ambiguo che poi lo ha caratterizzato anche nel processo per la Uno Bianca, con le ritrattazioni delle confessioni rese in precedenza. Anche il Presidente emerito Francesco Cossiga, come ricorda oggi il giudice Priore in una intervista a Repubblica, ricostruendo l’azione di guerra nei cieli di Ustica indicò in un Mirage francese il velivolo maggiormente coinvolto nella vicenda.
“La tesi del missile poco credibile” – Il disastro di Ustica può essere stato causato da un missile, come ha sostenuto la Cassazione civile, “solo se quel missile fosse stato inerte, producendo così lievi danni e non la distruzione in volo dell’aereo”. Lo sostiene Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa della Camera ed ora dell’Anavafaf, un’associazione che assiste i familiari delle vittime arruolate nelle Forze armate. “Se infatti si fosse trattato di un missile con testata esplosiva – argomenta Accame – avrebbe provocato la distruzione dell’aereo all’impatto, con frantumazione in aria in mille pezzi. Tutti questi ‘pezzi’ (compresi purtroppo i corpi dei passeggeri), sarebbero caduti da una quota di circa 10 mila piedi, sparpagliandosi in mare in una vastissima area. Siccome, però, ciò non è accaduto e i corpi sono stati ‘ripescati’ dai soccorritori in un ristrettissimo specchio d’acqua, e in alcuni casi integri, la tesi che l’aereo sia stato colpito da un missile che è esploso non è credibile”.
“Più credibile sia stato colpito da un radio bersaglio” – Secondo Accame, “una delle altre ipotesi che possono essere avanzate è anche che l’aereo sia stato colpito, ad esempio, da un radio-bersaglio. A quel tempo si svolgevano esercitazioni di lancio di aereo-bersagli meteo dalla base di San Lorenzo, nel poligono di Salto di Quirra dove, tra l’altro, operavano militari libici. Il piccolo bersaglio telecomandato in alluminio avrebbe potuto provocare, appunto, un modesto danno all’aereo, che ne avrebbe comunque determinato la depressurizzazione e quindi la caduta, forse seguendo un estremo tentativo di ammaraggio. Comunque – conclude Accame – nella caduta l’aereo aveva conservato la sua fisionomia e ciò è testimoniato dal fatto che si è addirittura potuto ricostruire riattaccando tutti i vari pezzi: ciò non sarebbe stato possibile se la perdita dell’aereo fosse stata causata dall’essere stato colpito da un missile che è esploso”.
29 gennaio 2013 – Redazione Tiscali