16 genn – L’allarme lanciato dalla Caritas in tema di scarsità di fondi pubblici per l’assistenza ai profughi non scuote più di tanto le coscienze. Anche perché in un momento di crisi del genere diventa difficile far digerire alle famiglie italiane l’elargizione di fondi per aiutare gli immigrati, anche se si tratta di rifugiati politici. Ovviamente c’è storia e storia. E’ chiaro che se si tratta di persone provenienti da zone di guerra, come nel caso del Mali, è giusto aiutarli.
Diverso invece il discorso di quanti vengono dalla cosiddetta primavera araba, ormai normalizzati. Sarebbe giusto rimpatriarli non essendoci più quelle condizioni di pericolo.
Dal ministero dell’Interno è arrivata la proroga dei fondi fino al 28 febbraio, poi i rubinetti si chiuderanno. E questo ovviamente ha fatto inalberare tutte quelle associazioni che convivono con questi problemi, a cominciare dalla Caritas e la comunità di Sant’Egidio. Solo che la scarsità di fondi ha finito per relegare queste persone in luoghi degradanti, senza quelle condizioni minime di assistenza. E questo non è nemmeno giusto. Non è che li si accoglie e poi li si lascia nel più completo degrado. Se hanno diritto allo status di rifugiati è giusto che li si aiuti.
Dalla Libia alla Tunisia, dall’Egitto alla Siria è stato un susseguirsi di sbarchi sulle nostre coste di migliaia di profughi in fuga dalla guerra, dalle rivolte e dalle persecuzioni. L’accoglienza in questi casi è d’obbligo però questo dovrebbe valere anche in senso inverso. Ovvero a fronte della normalizzazione di questi Paesi dovrebbe diventare automatico il loro rimpatrio. Invece non è così. La stragrande maggioranza di queste persone restano sul nostro territorio, pensando di essere garantiti a vita dalle leggi internazionali. E’ chiaro che la nostra posizione sul Mediterraneo ci costringe ad essere un porto di accoglienza.
Però questo non significa assistenza a vita. La crisi pesa su tutti. E chiaramente vengono prima gli italiani. Sono tanti infatti a pagare la crisi con la perdita del lavoro e di qualsivoglia paracadute sussidiario. E quindi diventa difficile digerire ulteriori fondi per l’assistenza dei profughi, quando non vi sono più le motivazioni di fondo.
La Libia è stata liberata e normalizzata, quindi è bene che i politici perseguitati tornino a casa; la Tunisia è tornata alla normalità e quindi è bene che tutti i tunisini tornino a casa; l’Egitto è normalizzato e quindi è bene tornare a casa. Si torna e si lavora per favorire lo sviluppo e la crescita dei loro Paesi, non per vivere di assistenza e molto spesso di espedienti nel Belpaese. Questo naturalmente vale per chi ha perso lo status di rifugiato non per chi ne ha ancora diritto, come nel caso del Mali o di altre persone provenienti da zone di guerra.
Ora va bene aiutare e accogliere le persone in difficoltà ma non può diventare una regola che valga per tutti. Chi ha diritto deve essere messo nelle condizioni di dignità, per gli altri è bene provvedere al rimpatrio.
Il presidente della Caritas, Gualzetti chiede altri fondi per favorire sbocchi lavorativi e l’assistenza dei rifugiati politici, pur non sussistendo più quelle condizioni di guerra nei loro Paesi. E gli italiani che hanno perso il lavoro quali sbocchi possono aspettarsi?
Michele Mendolicchio per Rinascita