Saverio Simonelli
La musica è altrove
Casa editrice Ancora
Ma avete mai pensato a quante storie, quanti volti e quanti mondi si possono trovare mettendo in fila un po’ di canzoni? Mica parlano solo d’amore. Ci potreste trovare bambini, anziani, animali piccoli come pulci e orizzonti più grandi dei vostri sguardi. Signori di castelli medievali, viaggiatori del futuro e donne in attesa davanti al mare, ciliegi che piegano i rami, mele ancora da cogliere e lepri che vanno a finire sulla luna. Vi sembra incredibile? C’è un artista che queste cose le ha sempre cantate, viaggiando con la fantasia tra cielo e terra. Con una chitarra e un violino, anzitutto. E lo possiamo seguire in questo viaggio meraviglioso dove ogni cosa se ne tira dietro un’altra. Come le ciliegie, appunto. Come fanno tutte le storie, quando sono raccontate perché anche chi ascolta ci finisca dentro. Non ve ne eravate accorti? Anche voi potreste andare a finire dentro una canzone o forse ci siete già. Se l’ha scritta uno come Angelo Branduardi e se voi provate a chiudere gli occhi e immaginare. Musica. E racconto.
Saverio Simonelli è nato a Roma, dove risiede, nel 1964. Laureato in filologia germanica, è giornalista professionista dal 1987 e dal 1998 e` responsabile dei programmi culturali e di approfondimento dell’emittente satellitare Tv2000 (gia` Sat2000). Ha tradotto opere di Thomas Mann, Hans Urs von Balthasar, Gilbert Keith Chesterton. Nel 2010 ha curato per Ancora Andremo a rubare in cielo, la prima traduzione italiana sistematica delle maggiori liriche del grande poeta irlandese Patrick Kavanagh, e per Rubbettino Storie infinite, scritti saggistici e stralci di conferenze di Michael Ende. Nel 2002 e nel 2004 con Andrea Monda ha pubblicato per Frassinelli due saggi sulla letteratura fantastica e fantasy: Tolkien. il signore della fantasia e Gli anelli della fantasia. Segue Angelo Branduardi dalla fine degli anni Settanta e lo ha intervistato più volte a partire dal decennio successivo.
INTERVISTA A SAVERIO SIMONELLI, GIOVEDI’ 10 GENNAIO 2013 (a cura di Luca Balduzzi)
Angelo Branduardi parla già della musica come di «un fatto assolutamente spirituale»… in che senso?
Per Branduardi la musica è spirituale in quanto rappresenta un’esperienza che conduce l’ascoltatore in un mondo proprio, un mondo di suoni, seduzioni e racconti dove come ospite compie una sorta di viaggio, incontra sentimenti espressi nel linguaggio dei suoni ma che arricchiscono la sua personalità, il suo sguardo, la sua immaginazione. Il fascino delle sue evocazioni, assieme così vasto, solenne eppure immaginoso e a tratti fanciullesco, invita oggi come ieri l’ascoltatore, lo prende per mano per oltrepassare la soglia della consapevolezza di possedere in sé un desiderio profondo, un appetito di cose che durano, che vanno oltre e che rimandano continuamente a dimensioni nascoste nel cuore di ciascuno. Ponendosi sulle tracce dei poeti romantici che avevano teorizzato questa funzione della musica Branduardi si immette così in una tradizione che vede l’espressione artistica come un ‘di più’ che testimonia la ricchezza spirituale dell’umano.
La spiritualità è un tema su cui hanno scritto e continuano a scrivere sia cantanti credenti che -e forse ancora di più- non credenti. Da che cosa secondo te si viene (inevitabilmente?) attirati verso questo argomento?
Non direi che si tratta di un fatto inevitabile. Anzi se paragoniamo quanto si cantava negli Anni ’70 ad oggi ci si accorge che questa inclinazione verso la spiritualità può essere atrocemente combattuta o addirittura sfruttata come opportunità commerciale. Bisogna saper discernere e scoprire quelle personalità e quegli artisti nei quali la vena “spirituale” alimenta la poetica anche senza apparire deliberatamente. Penso a musicisti come Giovanni Lindo ferretti che anche quando capeggiava il gruppo dei CCCP aveva sempre attenzione alla profondità dei testi e della musica. Se i Pooh cantano Dio delle città e dell’immensità ecco non per questo mostrano una vena spirituale se poi l’armonia, il timbro, l’esecuzione stessa rimane vincolata agli stilemi della canzonetta commerciale. La musica per attingere alla spiritualità deve presentarsi come qualcosa di realmente alternativo. Chiaro sì e comprensibile, ma con una propria cifra, una propria nobiltà, e soprattutto tanta sincerità espressiva.
In molte canzoni sono i paesaggi naturali e gli animali gli elementi su cui si innesta la riflessione sulla spiritualità…
La musica di Angelo Branduardi pur mostrando sempre un contenuto spirituale è sempre molto fisica, naturale, corporea. Branduardi dice spesso che nella musica del violino convivono l’angelo e il diavolo, il cielo e la terra. Ma, a parte la metafora, la sua musica pare letteralmente vibrare assieme alle creature, alla creaturalità, agli animali, dai più piccoli ai giganti. Perché è un frammento di natura, un qualcosa che si esprime col linguaggio fisico per aprirsi una strada verso il cielo. E’ importante capire questa dimensione di immediatezza pura e contatto con la fibra delle cose, perché altrimenti lo slancio verso l’assoluto, i simboli degli animali, le scale dal minimo al massimo sarebbero un’astrazione. la musica di Branduardi si apre su altre dimensioni perché è prima profondamente radicata nella terra, è compagnia della vita vera, ne condivide la materia.
Con quale approccio Angelo Branduardi si è avvicinato alla figura di San Francesco di Assisi, a cui ha dedicato prima un album poi un intero spettacolo?
San Francesco è non solo un punto d’approdo nella ricerca poetico-spirituale di Branduardi ma è anche un ritorno alle origini quando l’allora diciottenne esordiente aveva composto una canzone dedicata al santo di Assisi “la cui voce ancora muove il grano”. Di Francesco Branduardi evoca la dimensione mistica e assieme terrigna, sostanziosa. Un santo immerso nella natura, capace di dialogare con lupi e uccelli e assieme innamorato del canto. Poeta e musicista. Insomma una via privilegiata per chi fa musica come Branduardi, ma anche un santo che è come culmine della vita di un popolo che a lui si affida. Emblematica è in questo senso la scelta di mettere in musica il racconto dei miracoli di Francesco, una sfilza di eventi prodigiosi ma raccontati col piglio della narrazione medievale accompagnati da una musica rapsodica, saltellante che Branduardi mutua proprio dal “saltarello” tipica danza del centro Italia, in questo caso in una versione di Vincenzo Galilei.
Quando si cerca di interpretare i riferimenti presenti nelle canzoni di qualsiasi cantante, o il loro stile di scrittura/di interpretazione, qual è il limite tra un resoconto obiettivo e una libera associazione/interpretazione dell’ascoltatore?
Branduardi ha detto a questo proposito una frase chiarissima: «Molto spesso il musicista canta ciò che di sé non sa, lasciando quindi alla fantasia dell’ascoltatore interpretazioni, associazioni di contenuto, opzioni di gusto». Anche qui l’artista lombardo dimostra tutta la sua appartenenza alla sensibilità romantica che prima di altri movimenti culturali aveva teorizzato la figura del fruitore di un’opera d’arte come l’autore ampliato. Questa libertà lasciata all’ascoltatore diventa anche libertà per il musicista che infatti nei concerti, soprattutto nel periodo centrale dalla fine degli anni 70 a tutti gli ’80 si diverte a camuffare miscelare, cambiare introduzioni e accompagnamenti. Come scrivo nel mio libro: “A differenza di quanto si verifica negli spettacoli dei cantautori suoi contemporanei, la musica di Angelo Branduardi “riaccade” davanti all’ascoltatore, si manifesta nuova nel momento del concerto che diventa una specie di liturgia dell’immaginazione: quello che si ascolta è sempre molto diverso da quanto ci si aspetta. Per cui variazioni, adattamenti, scambi di parti, introduzioni nuove, linee di accompagnamento: tutto può mutare a sorpresa, tenendo l’ascoltatore in costante veglia: non c’è la conferma di quanto registrato in studio, ma i musicisti si divertono a dissimulare, a variare il materiale che hanno a disposizione. «Sono come un bambino -dice ancora Angelo- che ruba la marmellata e ama sporcarcisi le dita»”.
Guardando al periodo di festa in cui stiamo realizzando questa intervista, ci sono tre canzoni di Angelo Branduardi che potrebbero essere la colonna sonora ideale della nostra chiacchierata…
Ad anno appena iniziato mi vengono in mente tre canzoni invernali, con una sonorità molto limpida, argentea, che sanno di neve e di chiaro. La volpe, dall’album Cercando l’oro del 1983, Il disgelo che risale a due anni prima: al disco Branduardi dell’81, e ovviamente la luna, uno dei primi brani di Branduardi, quello che esprime perfettamente il senso fiabesco della vita e che abbonda di suoni misteriosi, evocativi, da racconto davanti al camino.