10 genn – La crisi economica intrecciata alle debolezze strutturali del “sistema Italia” espone settori strategici del made in Italy alle mire espansionistiche di imprese asiatiche, in particolare cinesi, a detrimento della competitività nazionale e dei livelli occupazionali.
E’ questo l’allarme che il Dis (Dipartimento di informazioni per la sicurezza), l’organismo di raccordo dei servizi di intelligence che fa capo a palazzo Chigi, ha cominciato a lanciare nella relazione presentata al Parlamento nel febbraio 2012 e ha meglio circostanziato negli ultimi mesi, come ha confermato a Reuters una fonte a conoscenza del dossier.
Gli operatori asiatici, avvertiva il Dis nella relazione consultabile sul sito, attratti dal brand manifatturiero italiano, potrebbero sfruttare le opportunità offerte dai nuovi accordi logistici con interporti nazionali per incrementare i piani di investimento in imprese dotate di tecnologia innovativa e sfruttare su scala più ampia i loro brevetti, procedendo da ultimo alla delocalizzazione degli impianti produttivi.
In particolare il Dis, come riferito oggi da la Repubblica e confermato dalla fonte, avrebbe acceso una spia rossa sull’acquisizione della casa di yacht Ferretti, gravata da un debito di 580 milioni di euro, da parte del produttore cinese di macchinari Shandong Heavy Industry nel 2012, nel timore che i vertici cinesi abbiano intenzione di delocalizzare la produzione dei natanti, lasciando in Italia solo le linee di rimessaggio e manutenzione.
Eppure, l’ingresso di investitori asiatici in diversi settori economici è stato tra gli auspici di tutti i governi italiani che si sono succeduti negli ultimi 10 anni.
Da ultimo, nel novembre scorso, il presidente del Consiglio Mario Monti e il presidente del Comitato nazionale della conferenza consultiva politica del Popolo cinese, Jia Qinglin, hanno presenziato alla firma a Palazzo Chigi di accordi commerciali del valore complessivo di 1,27 miliardi di dollari, uno dei quali, definito di “cooperazione strategica” proprio tra il Ferretti Group, che dopo l’acquisizione ha mantenuto il management italiano, e la China Everbright Ltd, per 480 milioni di dollari.
Monti aveva salutato gli accordi appena firmati come una dimostrazione dell’appeal di molti settori dell’economia italiana per gli investitori stranieri.
Ma per il Dis non bisogna abbassare la guardia nella difesa della produzione italiana, soprattutto se l’espansione economica asiatica in Italia si abbina al supporto degli istituti di credito asiatici, che “potrebbero erodere significative quote di mercato agli operatori italiani, soprattutto nelle transazioni finanziarie internazionali di supporto alle nostre aziende operanti da e con l’estero”, come si legge nella relazione sul 2011.
Mantenendo sempre il focus sulla Cina, il Dis ha puntato il dito sulla riconversione dell’area Falck di Sesto San Giovanni, un affare di alcuni miliardi di euro, sottolineando che l’interesse di investitori cinesi per questo business sarà supportato dalla prossima apertura nella cittadina alle porte di Milano di una filiale della Bank of China.
Inoltre l’intelligence segnala che aprirà a Milano nei primi mesi del 2013 l’agenzia di rating cinese Dagong, allo scopo di valutare la fattibilità degli investimenti in Italia.
reuters
beh, anche gli “accordi presi con investitori stranieri” sul Britannia nel 92 sono stati un’ affare per l’Italia, vero presidente monti?