Franco Cardini
Gerusalemme – Una storia
Casa editrice Il mulino
Meta di pellegrini da tutto il mondo, al centro di una contesa millenaria, Gerusalemme è la città santa per le tre grandi fedi monoteiste. Da conoscitore, e soprattutto da innamorato della città, Franco Cardini ci guida in una passeggiata che servirà da viatico a chi ha solo un giorno per vederla o a chi è venuto per trascorrervi tutta la vita. E per noi dipana il filo della storia –dal cammino del Cristo verso il Golgotha fino alla Porta di Giaffa e al Santo Sepolcro, dalla Valle di Josafat al Monte degli Olivi, dal Muro del Pianto fino alle discoteche di oggi– allineando eventi ed immagini di ieri e di oggi, alla ricerca dello spirito di quella che resta una città-mistero.
Franco Cardini insegna Storia medievale nell’Istituto italiano di Scienze umane di Firenze; è Directeur d’Études nell’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e Fellow della Harvard University. Con il Mulino ha pubblicato Castel del Monte (2000) e In Terrasanta. Pellegrini italiani tra Medioevo e prima età moderna (2005).
INTERVISTA A FRANCO CARDINI, DOMENICA 23 DICEMBRE 2012 (a cura di Luca Balduzzi)
Il Medio Oriente è stato un territorio di conquista, e dunque di scontro, fin dall’antichità… è una terra destinata ad essere tormentata?
Quell’area compresa grosso modo tra Oronte, Tigri e penisola arabica che meglio sarebbe definire “Vicino Oriente” (il “Medio Oriente” è piuttosto l’area iranica) è un’ampia tavola di scorrimento tra Asia e Africa, il che a livello geostorico spiega già come non possa non essere una regione contesa. Inoltre, dai primi del secolo scorso si è scoperto anche il petrolio. Infine, dalla metà dell’ottocento bisogna valutare anche la “variabile sionista”. Con queste premesse, tutto diventa più comprensibile. Parlerei di concorso di cause, non di destino o di vocazione.
Che cosa ha significato per il Medio Oriente l’istituzione dello Stato di Israele?
L’instaurazione di una formidabile base politico-militare per l’Occidente in generale, gli Stati Uniti d’America in particolare. Almeno finora. Le cose potrebbero cambiare se gli israeliani decidessero di cominciar a far parte, sia pure con tutto il peso della loro occidentalità, della politica vicino-orientale e contribuire a indirizzarla in modo meno occidentodipendente.
In che maniera i partiti di destra sono riusciti ad affermarsi così nettamente nella politica di Israele?
Esistono molte “destre”, e in Israele più forse che altrove. Si debbono distinguere i partiti di una “destra laica”, preoccupati dell’equilibrio geostorico e almeno fino a ieri orientati verso la costruzione di un “Grande Israele” dal Mediterraneo all’Eufrate, dal relativamente nuovo fenomeno di una “destra religiosa” nella quale allignano posizioni a carattere integralistico e apocalittico. Certo, il “segno” originariamente laico e socialista del sionismo diciamo così classico appare oggi smarrito o perduto, anche perché l’opinione pubblica israeliana ha paura delle minacce esterne ostili, di una ripresa del terrorismo e del “sorpasso demografico” palestinese”: in questo contesto inquietudine, disorientamento e paura favoriscono una “destra” che può anche presentarsi con i connotati dell’estremismo e dell’isterismo. Ma forti sono anche le istanze di una “sinistra” pacifista che giunge addirittura all’obiezione di consenso. Insomma, è relativamente improbabile che i palestinesi o gli arabi o i musulmani riescano a mettere in crisi la compagine israeliana: ma che essa “imploda” è un pericolo reale.
Esiste un “equilibrio” politico nel Medio Oriente dei giorni nostri? Con la questione palestinese che rimane sempre e comunque nello sfondo, la primavera araba sta cambiando/cambierà qualcosa?
La “primavera araba” non è mai esistita. Esistono nel mondo arabo movimenti sovente basilarmente politico-religiosi, contrari all’autoritarismo e alla corruzione dei governi arabi filo-occidentali. Lo si è visto in Tunisia, dove il movimento popolare prendendo in contropiede le potenze occidentali è riuscito (da qui l’avvio del mito della “primavera araba”), e in Egitto dove ha dato luogo a una soluzione difficile, ma comunque nuova. Il movimento popolare di contestazione è stato invece soffocato anche brutalmente, nel silenzio dei nostri media, in Algeria e nei paesi della penisola arabica; le potenze occidentali, anzitutto Francia e Inghilterra (molto meno gli Stati Uniti di Obama) che hanno nella zona forti interessi politico e/o petroliferi, hanno reagito sostenendo falsi movimenti di “primavera”: in Libia hanno avuto successo, in Siria stanno segnando il passo. I mass media occidentali hanno cercato di far credere che il mondo arabo si stesse muovendo credendo una “democrazia” all’occidentale, contro quelli che esse di solito definiscono, superficialmente e semplicisticamente, “dittature”. Non era e non è così.
Che cosa significa essere cristiani in un mondo come quello della Terra Santa?
Dipende. I cristiani occidentali, cattolici o protestanti o anche ortodossi che siano (anche i russi, per molti versi, possono esser considerati “occidentali”), possono trovare qualche difficoltà ma sono sostanzialmente al sicuro. I cristiani orientali, vale a dire gli armeni e le Chiese arabe (monofisiti siriani, copti egiziani, melkiti o ortodossi arabi e in special modo palestinesi) sono oggi minacciati da una propaganda fondamentalista musulmana che li descrive come obiettiva,mente filo-occidentali e filo-israeliani. D’altronde, in Israele, essi sono minacciati anche dagli ebrei estremisti. Forse un po’ diversa è soltanto al situazione dei maroniti libanesi, ma anche lì ci sono difficoltà. E’ una situazione molto critica: e difatti, quando possono i cristiani orientali se ne vanno.
Quali sono le difficoltà maggiori che i cristiani si trovano a dover affrontare nel rapporto da una parte con le altre due più grandi religioni (l’ebraismo e l’islamismo), e dall’altro lato con due popoli (gli israeliani e i palestinesi) al cui interno queste tre religioni si mescolano?
Si tratta di difficoltà nate soltanto negli ultimi decenni, e dovute al radicalizzarsi in senso anche religioso o pseudo-religioso della lotta politica, vale a dire al nascere dei fondamentalismi.
Guardando però alla situazione dei cristiani in Terra Santa, non bisogna dimenticare le molte e qualche volta profonde divisioni che vivono già al loro interno…
Sono divisioni che aggravano il quadro dei già tesi rapporti con parte dei mondi ebraico e musulmano.
C’è un luogo “simbolo” più di qualunque altro degli aspetti più negativi di queste divisioni, il Santo Sepolcro… una gestione imposta secondo lo Status Quo è davvero l’unica maniera per contenerle?
Lo “Status quo” fino ad oggi ha funzionato: è senza dubbio perfettibile, ma funziona se non altro nella misura in cui non si vede oggi all’orizzonte una effettiva e reale volontà di superamento delle inimicizie, delle antipatie, dei pregiudizi e delle ostilità.