Risparmio Sanita’: addio vecchi reparti, ora il malato si cura ‘in rete’

21 dic – Addio vecchi reparti, ora il malato si cura ‘in rete’. Per migliorare le cure, e spendere meglio le risorse del Ssn, arrivano le Reti cliniche dove, come in una staffetta, medici, infermieri e servizi prendono in carico il malato al di là dei confini dell’azienda sanitaria o ospedaliera dov’è materialmente in cura o ricoverato.

Per capire: mi ricovero in cardiologia all’ospedale X ma il mio caso viene seguito anche dal medico nefrologo dell’ospedale Y che si è specializzato nelle nefropatie dei malati cardiopatici. Un esempio che vale anche per chi non ha bisogno di ricovero ma è preso in carico dalla propria Asl, che lavora in rete con i professionisti di altre aziende sanitarie, per stabilire i percorsi terapeutici o diagnostici migliori.

A studiare il fenomeno è la ricerca dell’Osservatorio Fiaso – la Federazione di Asl e ospedali – realizzata in collaborazione con la SDA Bocconi di Milano, sul ruolo delle aziende sanitarie nelle reti cliniche in Italia, presentato oggi in occasione dell’Assemblea nazionale della Federazione. “Una cassetta degli attrezzi a disposizione di manager e professionisti sanitari per elevare a livello di sistema le esperienze già maturate sul territorio”, sottolinea Valerio Fabio Alberti, coordinatore dello studio e responsabile dell’Osservatorio.

La diffusione delle Reti cliniche, da tempo nel vocabolario della sanità pubblica britannica, parte lentamente in Italia nei primi anni duemila, ma è dal 2008 che il modello inizia ad espandersi, passando nelle Regioni censite da una cinquantina di esperienze alle oltre 140 dello studio al 2012. Alcune ancora solo sulla carta, ossia programmate ma non ancora avviate. Altre in fase di start up e molte già pienamente funzionanti.

Tra quelle già in attività le aree terapeutiche dove le reti sono più diffuse sono Cardiologia (14 esperienze avviate), Oncologia (10), Neurologia (9), Malattie Rare (8), seguite poi da Emergenza-Urgenza, Centri trasfusionali e Cure palliative, che contano 7 esperienze ciascuna. In tutto le Reti cliniche effettivamente funzionanti censite da Fiaso sono 87, con una netta prevalenza nel Nord Italia.

Le Reti non si limitano a collegare tra loro gli specialisti della stessa branca, ma – rileva lo studio Fiaso – sempre più frequentemente prevedono interscambi tra medici di discipline diverse per garantire al meglio la continuità delle cure al paziente. Ad esempio tra diabetologi e nefrologi per la gestione dei pazienti con insufficienza renale piuttosto che tra gastroenterologi e oncologi per la diagnosi del tumore al colon o al retto. Una contaminazione dei saperi che ha prodotto anche delle vere e proprie nuove sottobranche specialistiche, come ad esempio quella del cardio-nefrologo.

La ricerca – spiega la Fiaso – individua tre tipologie di Reti cliniche: le Reti deboli, dove tutto nasce e si ferma all’esigenza di collaborazione tra professionisti di aziende diverse; i Networks clinici, che sono già primi esempi di reti vere e proprie perché la collaborazione si fonda non più sull’estemporaneità ma su pratiche o modelli organizzativi consolidati; le Reti forti, quelle che prendono in carico la persona nella sua interezza e che sviluppano dei veri e propri percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali, che servono da guida ai professionisti sanitari e al contempo integrano l’ospedale con i servizi del territorio.

Partendo da questa classificazione lo studio ha voluto misurare le performance delle Reti cliniche italiane in due aree terapeutiche: Cardiologia e Oncologia. Una valutazione che ha richiesto la collaborazione di 12 aziende: le Asl di Bergamo, Trento, Bassano, Bologna, Parma, Ravenna, Ferrara e Barletta-Trani, le aziende ospedaliere di Potenza e del S.Andrea di Roma, i Policlinici universitari di Ancona e Messina. Per le Reti di area cardiologica, data una scala di valutazione da 1 a 4, le valutazioni hanno dato questi risultati: efficienza 2,3; precisione diagnosi 2,9; efficacia clinica 2,9; appropriatezza delle cure 2,6; condivisione conoscenze tra professionisti ospedalieri 2,9; condivisione conoscenze tra ospedale e territorio 2,1; soddisfazione dei pazienti 2,9; razionalizzazione dei costi 2,2.

Per le Reti oncologiche le valutazioni hanno invece dato questi risultati: efficienza 2,6; precisione diagnosi 3,1; efficacia clinica 3,1; appropriatezza delle cure 3,0; condivisione conoscenze tra professionisti ospedalieri 3,1; condivisione conoscenze tra ospedale e territorio 2,0; soddisfazione dei pazienti 3,0; razionalizzazione dei costi 2,6. Secondo la Fiaso, “l’analisi delle Reti ha comunque fatto emergere l’eterogeneità del loro sviluppo, una appena sufficiente integrazione tra professionisti ospedalieri e del territorio, mentre la promozione a pieni voti viene raggiunta tanto sul fronte dell’efficacia delle cure che della soddisfazione del paziente”.

“Le Reti cliniche – sottolinea Alberti – stanno assumendo un ruolo fondamentale in termini di efficienza gestionale del nostro Ssn. Questo perché consentono di rispondere ad alcune esigenze ineludibili del sistema sanitario, quali quella di rispondere alla complessità dei processi assistenziali con la condivisione delle competenze, garantire l’equità dell’accesso alle cure, migliorare la qualità dell’assistenza grazie a percorsi diagnostici e terapeutici ben definiti. Senza dimenticare il migliore utilizzo delle risorse disponibili. Enfatizzando – aggiunge Alberti – si potrebbe dire che l’attivazione delle Reti cliniche fa bene alla salute degli assistiti e alle casse dello Stato”. adnk