Di Michael Sfaradi – Tel Aviv 19 dicembre 2012
Le notizie che giungono da Washington non sono per chi mi legge delle vere e proprie novità, visto che nei diversi articoli da me scritti nei mesi scorsi, dall’11 settembre in poi, avevo già dato conto di tutta quella serie di errori e omissioni da parte del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca sulla gestione dell’assalto al consolato U.S.A. a Bengasi, in Libia, e del brutale linciaggio dell’ambasciatore Stevens.
Il New York Times di oggi, ad esempio, riporta un rapporto indipendente sull’assalto al consolato americano dove persero la vita sia l’ambasciatore che altri agenti C.I.A. che gli facevano da scorta. Il rapporto, senza mezze parole, mette sotto accusa il Dipartimento di Stato per non aver fornito la sicurezza necessaria alla rappresentanza diplomatica e alla persona dell’ambasciatore.
Secondo il rapporto, sono state ignorate le richieste dell’ambasciata americana in Libia per un aumento del personale di guardia e della sicurezza al consolato della città cirenaica.
L’Intelligence, si legge ancora, ha puntato troppo sull’attenzione a specifici avvertimenti di attacchi, avvertimenti che non c’erano stati in quel caso, piuttosto che su una valutazione più ampia del deterioramento della situazione nella città libica.
Questo errore di valutazione è una patata bollente che il presidente Obama da una parte è riuscito ad evitare prima delle elezioni presidenziali, ma che ora deve affrontare sia al Congresso che davanti alla commissione di inchiesta sui fatti dell’11 settembre scorso.
Il tempismo con il quale è uscito allo scoperto il sexy scandalo che ha coinvolto il capo della C.I.A. il generale Petraeus, con conseguenti dimissioni, è servito a far slittare l’interrogatorio dello stesso davanti alla commissione d’inchiesta, con l’importantissimo particolare che il generale, ora in pensione, sarà in futuro ascoltato solo come semplice cittadino e non più come direttore responsabile dei servizi segreti.
Anche la signora Clinton ha fatto slittare il suo interrogatorio davanti alla stessa commissione, una prima volta perché si trovava all’estero in missione e una seconda per una caduta che le ha provocato una leggera commozione cerebrale.
In attesa che venga decisa una nuova data in cui la Segretario di Stato possa essere ascoltata, la stessa ha promesso, in una lettera inviata al Congresso, di seguire tutte e 29 le raccomandazioni del rapporto, cinque delle quali non sono state rese note perché coperte da segreto.
Nella lettera la signora Clinton ha scritto: “Per onorare coloro che abbiamo perduto, dobbiamo proteggere meglio chi serve la nazione nel portare avanti all’estero gli interessi vitali e i valori dell’America“.
Nella stessa missiva ha anche spiegato che il suo dipartimento intende chiedere il trasferimento di 1,3 miliardi di dollari da destinare alla sicurezza delle ambasciate.
553 milioni serviranno per finanziare l’invio di personale militare a protezione delle alle sedi diplomatiche più a rischio e 691 milioni verranno invece investiti in apparati si sicurezza, attivi e passivi negli edifici che ospitano le rappresentanze diplomatiche.
Il rapporto, che sta dando numerosi grattacapi al presidente Obama, era stato chiesto dal Dipartimento di Stato a una commissione d’inchiesta indipendente guidata dal diplomatico a riposo Thomas Pickering ed era composta, fra gli altri, dall’ammiraglio a riposo Mike Mullen, ex capo degli Stati maggiori riuniti.
Un’altro problema, non di poco conto, per Barak Obama è diventato anche la nomina del prossimo Segretario dopo le polemiche che hanno investito l’attuale ambasciatrice U.S.A. Rice, colpevole di aver mal gestito il dopo Bengasi e di aver causato disastri in giro per il mondo nei suoi precedenti incarichi.
La Rice, nonostante la personale amicizia con Obama che nei giorni dell’assalto la difese a spada tratta, si è comunque ritrovata nelle condizioni di dover ritirare la propria candidatura e lo ha fatto con una lettera indirizzata direttamente al Presidente.
In uno dei miei precedenti articoli avevo scritto che il fantasma dell’ambasciatore Stevens girava per Washington e che con il tempo i responsabili morali avrebbero pagato per la sua fine.
Si dice che il tempo è galantuomo e la speranza è che, in qualche modo, la verità di cosa accadde veramente a Bengasi l’11 settembre 2012 possa presto uscire allo scoperto e con lei anche il perché del suo mancato salvataggio e delle scuse inopportune e delle frottole raccontate sia al popolo americano che al mondo intero.