Con la riforma Fornero rischio di aumento del lavoro nero

4 nov – “Il vizio principale di questa riforma del lavoro è dato dalle circostanze. Probabilmente quello attuale è il momento peggiore per fare una riforma di lungo periodo in questo settore: mancano le risorse, si contrae la domanda di lavoro a livelli senza precedenti dal Dopoguerra a oggi. E’ una riforma pensata per i tempi buoni, un progetto difficile in questo periodo. Aumentano i costi per il datore e questo rischia di incoraggiare il lavoro nero”.

Maurizio Del Conte, docente di diritto del Lavoro alla Bocconi non sembra molto ottimista sui risultati immediati che le nuove norme potranno conseguire.

Eppure le ambizioni non sembrano mancare. Si tratta di una serie di provvedimenti che puntano a incidere sulla flessibilità in uscita e su quella in entrata. I cambiamenti dell’articolo di 18 fanno molto discutere: cosa ne pensa?

L’intervento sull’articolo 18, quello che tutela i lavoratori a tempo indeterminato, mi pare macchinoso, mi sembra che la flessibilità che il governo cercava si sia un po’ impantanata in una serie di complicazioni che potrebbero sterilizzare gli effetti del nuovo quadro normativo. Nel caso dell’articolo 18 in sostanza cambia soltanto il fatto che il giudice può decidere di non reintegrare automaticamente il lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo quando l’azienda è in crisi o quando la colpa del lavoratore non è tanto grave da giustificare il licenziamento.

La riforma si propone anche di ridurre il precariato con interventi su diverse tipologie contrattuali: crede che sarà efficace su questo fronte?

Ci vorrà tempo per capire in pratica cosa comporteranno i cambiamenti. Sicuramente i rapporti di lavoro dipendente camuffati da partite Iva avranno una vita più dura, anche se restano fuori dagli interventi gli albi professionali e soprattutto il pubblico impiego che nasconde molto precariato. Segnali di stabilizzazione vengono dal tempo determinato dove l’aggravio della tassazione per l’1,4% con possibilità di riscatto in caso di passaggio all’indeterminato e l’aumento del tempo minimo intercorrente tra un contratto a tempo determinato e l’altro modificheranno il quadro generale. Il contratto a progetto rimane un contratto autonomo. L’apprendistato è un buon canale di accesso al lavoro, ma per le piccole aziende è ancora troppo complesso e deve essere sburocratizzato. Le intenzioni sono buone, ma ho diversi timori sulle conseguenze pratiche di questa riforma.

Quali?
Temo che cresca il rischio di fuga verso il lavoro nero. I datori di lavoro devono fare i conti con una riforma che complessivamente rende più costoso il lavoro regolare e potrebbero reagire alimentando il lavoro nero. L’ideale sarebbe far costare di meno il tempo indeterminato, capisco le esigenze del bilancio pubblico, ma alzare il costo del lavoro non può incentivare le assunzioni e gli introiti fiscali del lavoro sono troppo utilizzati per tappare buchi fatti altrove, per esempio nella sanità. Ci vorrebbe forse un po’ più di coraggio. Se investissimo un miliardo di euro per l’assunzione dei giovani, li riguadagneremmo in due anni e recupereremmo i 200 mila giovani contribuenti (dai 15 ai 29 anni) persi dal 2009 al 2011 e in parte confluiti nel lavoro nero. Il taglio appena deciso di un punto percentuale dell’Irpef sui redditi più bassi è un buon segnale. Mi auguro che si prosegua riducendo i costi contributivi.

http://borsaitaliana.it/notizie/speciali/riformadellavoro/interviste/de-conte.htm