ABOLIAMO LA CASSAZIONE

di Marsilio

30 ott – Ha susci­tato grande cla­more e, manco a dirlo, pole­mi­che a non finire il caso di Luciano Sal­lu­sti, attuale diret­tore del quo­ti­diano “Il Gior­nale”, con­dan­nato dalla Corte di Appello di Milano a quat­tor­dici mesi di car­cere per avere con­sen­tito la pub­bli­ca­zione — alcuni anni addie­tro, sul quo­ti­diano “Libero”, del quale all’epoca era diret­tore respon­sa­bile — di un arti­colo, a firma Drey­fus (legit­timo pseu­do­nimo, tute­lato dalla legge 22.4.1941 n.663, poi sve­lato per Renato Farina), arti­colo il cui con­te­nuto è stato giu­di­cato dai giu­dici ambro­siani dif­fa­ma­to­rio nei con­fronti di quel magi­strato che aveva dato il per­messo all’aborto di una tredicenne.

Tra­la­scio qui ogni con­no­ta­zione della vicenda — che pre­sumo ampia­mente nota all’opinione pub­blica -, e mi guardo bene dall’interloquire nel dibat­tito, anche par­la­men­tare, che si sta svol­gendo nel Paese, per rin­ve­nire una solu­zione alla spi­nosa que­stione del car­cere per “i reati di opinione”.

Certo le opi­nioni pos­sono far male, spe­cie se vei­co­late dai media, che ne accre­scono la valenza dan­nosa; ma — est modus in rebus — il ricorso alla pena deten­tiva per il dif­fa­ma­tore è, a mio avviso, peg­giore del male che le opi­nioni pos­sono arre­care alle per­sone, le quali — biso­gna pur dirlo — non sem­pre sono del tutto inno­centi, tanto è vero che quasi tutti si guar­dano bene dal chie­dere che il giu­di­zio si estenda alla verità del fatto (art. 596 c.p).

Qui invece voglio dedi­care qual­che rifles­sione sulla Corte di cas­sa­zione (con­tro la cui sen­tenza si è sca­gliato Sal­lu­sti nell’editoriale del 24 scorso), il cui primo Pre­si­dente ha rea­gito defi­nendo, quello usato da costui, un “lin­guag­gio offen­sivo“ (sot­tin­teso — par­lan­dosi di una sen­tenza di cas­sa­zione — del pre­sti­gio dei magi­strati che hanno aval­lato la con­danna della Corte d’Appello). Ma il lin­guag­gio della sen­tenza — secondo cui il diret­tore del quo­ti­diano è — “social­mente peri­co­loso”, vale a dire con­no­tato da capa­cità cri­mi­nale, ancor­ché sia cor­retto sotto il pro­filo del lin­guag­gio giu­ri­dico è in tutta evi­denza spro­por­zio­nato (fuori luogo) rispetto alla vicenda ed alla per­sona in que­stione, tanto più che l’articolo incri­mi­nato non era stato scritto dal Sal­lu­sti.

Se costui avesse qua­li­fi­cato la con­danna pro­nun­ciata con­tro di lui, non “infame” ma “ini­qua” e che, per giunta, tale da dare adito al sospetto di una ritor­sione verso chi aveva osato cri­ti­care l’operato dei magi­strati, avrebbe fatto una cri­tica legit­tima senza urtare la suscet­ti­bi­lità di fun­zio­nari dello Stato, dive­nuti super­po­tenti, al di sopra dello stesso Stato. Senza dire che la Corte di cas­sa­zione è esente da con­trolli interni per­ché, come è risa­puto, le sue sen­tenze sono inoppugnabili.

Tempo addie­tro uno stu­dioso si inge­gnò a tro­vare un qual­che modo per respon­sa­bi­liz­zare poli­ti­ca­mente i magi­strati ma, non tro­van­done alcuno nell’ordinamento giu­ri­dico, con­cluse che fosse l’opinione pub­blica il con­trol­lore dei giu­dici. Campa cavallo, ché l’erba cre­sce! E’ pura­mente illu­so­rio un tale con­trollo, atteso che i magi­strati rea­gi­scono, sem­pre più spesso, alle cri­ti­che al loro ope­rato azio­nando la que­rela per dif­fa­ma­zione. Il cui esito a loro favo­re­vole è quasi sem­pre scon­tato, per­ché a giu­di­care sono i loro col­le­ghi (una giu­sti­zia casa­rec­cia). Per altro, in tali casi, il giu­di­zio è velo­cis­simo e l’entità del risar­ci­mento favoloso.

Insomma, i magi­strati ita­liani hanno uno sta­tus pri­vi­le­giato: esenti da respon­sa­bi­lità poli­tica e giu­ri­dica (quand’anche agi­scano con dolo o colpa grave), esenti da con­trolli esterni (pos­sono con­trol­lare i poli­tici ma non pos­sono esserne con­trol­lati) ed esenti per­sino… da critiche.

Fos­sero almeno pro­fes­sio­nal­mente inec­ce­pi­bili! Sfug­gono nel corso della loro car­riera ad ogni con­trollo di pro­fes­sio­na­lità, car­riera scan­dita quasi uni­ca­mente dall’età, per­sino la fun­zione di legit­ti­mità della Corte di cas­sa­zione — organo supremo della giu­sti­zia, avente il com­pito di assi­cu­rare l’esatta osser­vanza e l’uniforme inter­pre­ta­zione della legge — non offre molte garan­zie: pos­sono acce­dervi magi­strati, oltre che per titoli (lavori giu­di­ziari svolti in un deter­mi­nato periodo), per anzia­nità. Il grande avvo­cato Alfredo De Mar­sico, pro­fe­tizzò “avremo magi­strati Upim”.

Oggi, infatti, acce­dono alla Cas­sa­zione giu­dici, magari valenti (non sem­pre a giu­di­care nel merito le cause di loro cogni­zione), ma spesso ina­datti a svol­gere l’alta fun­zione di garante della legit­ti­mità della giu­sti­zia. Vi accede anche chi ha svolto sem­pre la fun­zione di accusa!

Le con­se­guenze di que­sta disci­plina sono evi­denti ed allar­manti: con­tra­sti inter­pre­ta­tivi sia tra le sue Sezioni che tra i col­legi di una mede­sima Sezione sono le note più nega­tive della giu­ri­spru­denza della Cassazione.

Nel 1986 il magi­strato Bran­cac­cio, nel discorso tenuto in occa­sione del suo inse­dia­mento alla carica di primo Pre­si­dente della Corte di Cas­sa­zione non esitò a denun­ciare la crisi della Cas­sa­zione, per le gravi e fre­quenti oscil­la­zioni nelle sue deci­sioni e con­tra­sti all’interno nell’interpretazione della legge. E le cose oggi non sono affatto cam­biate, anzi sono aggra­vate dall’insorgenza della poli­ti­ciz­za­zione, che non rispar­mia nem­meno i giu­dici cas­sa­zio­ni­sti, che hanno, come detto, il com­pito di garan­tire l’esatta e uni­forme appli­ca­zione della legge.

Se fosse resa di pub­blico domi­nio una sta­ti­stica al riguardo si sco­pri­rebbe che la stra­grande mag­gio­ranza dei ricorsi è riget­tata: colpa dei ricor­renti, i cui ricorsi sono infon­dati? L’esperienza dimo­stra che, invece, il rigetto dei molti (troppi) ricorsi o cor­ri­sponde ad una poli­tica di sco­rag­gia­mento delle istanze difen­sive, per evi­tare il fal­li­mento di quella giu­ri­sdi­zione, oppure alla inca­pa­cità di quei giu­dici a svol­gere cor­ret­ta­mente la loro fun­zione; oppure cor­ri­sponde ad entrambe que­ste ragioni. E non si può esclu­dere anche un’altra ragione: la poli­ti­ciz­za­zione di non pochi giu­dici (anche) della Corte. E si è dovuto regi­strare il caso di magi­strati che hanno par­te­ci­pato alla lotta poli­tica e quando sono rien­trati nei ran­ghi della magi­stra­tura sono stati col­lo­cati dal Csm nei seggi della giu­ri­sdi­zione penale della Corte.

Qual­che anno addie­tro avan­zai pro­vo­ca­to­ria­mente l’idea di abo­lire la Cas­sa­zione penale, vista la situa­zione non cer­ta­mente bril­lante di que­sto supremo organo della giu­sti­zia. Apriti cielo! Si sco­modò per­sino il primo Pre­si­dente della Corte a dirmi che sba­gliavo, per­ché — scri­veva — acce­dono alla Corte magi­strati qua­li­fi­cati, che hanno supe­rato il vaglio di una spe­ciale Com­mis­sione (si, ma la Com­mis­sione è for­mata da giu­dici, il che si tra­duce, ancora una volta, in un affare di famiglia).

Ma dicendo “abo­liamo la Cas­sa­zione” volevo sol­tanto dire che biso­gna cam­biare la disci­plina per l’accesso a que­sto supremo organo giu­ri­sdi­zio­nale, onde ren­derlo più effi­ciente e più neu­trale rispetto alla lotta poli­tica, quindi garante dei diritti indi­vi­duali. Non mi rife­rivo cer­ta­mente al sistema inglese, nel quale i giu­dici della Corona (jud­ges), nomi­nati dal sovrano con la clau­sola “during good beha­viour” (fin­ché fun­zio­nino bene) sono espo­sti all’mpeachment e per­ciò alla desti­tu­zione. Mi rifa­cevo, invece, ai Tri­bu­nali supremi degli Stati ita­liani pre­u­ni­tari, ad esem­pio il Sacro Con­si­glio di Napoli, la Rota romana, il Tri­bu­nale supremo di giu­sti­zia della Toscana. Que­sti supremi organi di giu­sti­zia ope­ra­vano per la uni­fi­ca­zione del diritto nel ter­ri­to­rio, attra­verso la inter­pre­ta­zione delle leggi; ma quel che importa segna­lare è che essi erano com­po­sti da giu­ri­sti (giu­re­con­sulti) e per­ciò affatto dif­fe­ren­ziati dai giu­dici dei Tri­bu­nali infe­riori, sia per la pre­pa­ra­zione tecnico-professionale sia per­ché nomi­nati tra i migliori avvo­cati sulla piazza.

La scelta fatta dall’Italia (per­sino dalla Costi­tu­zione) è stata, al con­tra­rio, a favore della car­riera buro­cra­tica, salva, in via di ecce­zione, la pos­si­bi­lità di nomina a con­si­gliere di Cas­sa­zione, per meriti insi­gni, pro­fes­sori ordi­nari di uni­ver­sità in mate­rie giu­ri­di­che e avvo­cati che abbiano quin­dici anni di eser­ci­zio e siano iscritti negli albi spe­ciali per le giu­ri­sdi­zioni supe­riori (art. 106 Cost.). Ma a parte che que­sti giu­dici di cas­sa­zione non togati devono essere nomi­nati su desi­gna­zione del Csm — il che signi­fica gra­diti alla Cor­po­ra­zione — ed a parte che non è stata data ese­cu­zione ad una legge che sta­bi­li­sce il numero dei giu­dici laici in Cas­sa­zione, è il metodo attuale di accesso di giu­dici togati in Cas­sa­zione che non sod­di­sfa affatto le esi­genze di garan­zia per le per­sone coin­volte nell’accertamento giu­di­zia­rio, né assi­cura il cor­retto fun­zio­na­mento della giu­sti­zia penale.

Per chiu­dere que­sti cenni mi preme segna­lare un punto fon­da­men­tale, che non è stato fino ad oggi toc­cato: se si man­tiene la strut­tura buro­cra­tica del potere giu­di­zia­rio non è ammis­si­bile l’esenzione di con­trolli demo­cra­tici. Biso­gnerà pen­sarci quando si pone mano alla riforma della Costituzione.

Potere senza respon­sa­bi­lità equi­vale a dit­ta­tura, cioè ad auto­cra­zia, ancor­ché esso viva all’interno di un sistema di demo­cra­zia libe­rale sia pure imper­fetto, come il nostro. A sof­frirne non è solo la fun­zione di giu­sti­zia — ed è già scan­da­loso — ma l’intera vita demo­cra­tica, soprat­tutto per quanto riguarda l’armonia tra i poteri dello Stato. Oggi — non c’è chi non veda — la nostra demo­cra­zia è appesa alle deci­sioni di poteri buro­cra­tici irre­spon­sa­bili e più spesso alle ini­zia­tive di sin­goli uffici: non esa­gero se dico che il potere in defi­ni­tiva sta nelle Pro­cure. Hic sunt leones!

Dove sono i custodi della Costi­tu­zione? dove sono le vestali della democrazia?

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