ROMA, 21 Ott – Riflettendo sulla politica, verrebbe da dire che politica c’è dove ci sono gli uomini; e dove gli uomini non ci sono, non c’è politica.
È banale, è una frase da rottamare: secondo il brutto linguaggio usato oggi (sarebbe più elegante, ma gesuitico: “archiviare”).
Invece, riflettendoci, scopriamo che la politica, nella sua realtà ontologica, ha un qualcosa che va oltre gli uomini.
Forse sto scomodando “l’idea” della politica che si trova lassù, nel mondo delle idee platoniche.
Ragionando, e guardando le azioni degli uomini, notiamo che ci sono regole appartenenti alla politica in quanto tale: esse giocano un ruolo pro o contro gli uomini, in rapporto diretto con il loro comportamento. Quindi, la politica quale giudice di ultima istanza.
Finché la politica resta nell’ambito democratico, ogni vittoria zoppa prima o poi è chiamata a pagare dazio.
Una specie di nemesi va a spazzare gli errori dell’uomo.
Lo abbiamo visto con Berlusconi e Prodi.
Poi ci sono le vittorie, all’apparenza perfette, come quella del 2008, che nascondono il tarlo di un’inesorabile invidia: monna politica si vendica, svelando al mondo il vero volto di un politico da quattro soldi; bravissimo nel ”recitare” anche l’elenco del telefono; pessimo quando c’è da mettere le idee nella politica; vuoto come un fiasco nelle mani di un alcolizzato.
E adesso basta!
Che noia parlare di politica.
guglielmo donnini