Islam: Nel nome del Profeta tutto è ammesso

12 Ott- da: Liberal di: Daniel Pipes – Man mano che le folle musulmane si disperdono e le missioni diplomatiche tornano alle loro attività ordinarie, ecco tre considerazioni finali sui disordini iniziati l’11 settembre scorso e che hanno fatto una trentina di vittime. L’amministrazione Obama ha aggirato in modo sleale la responsabilità dell’uccisione di quattro americani in Libia sostenendo che l’attacco sia stato una protesta contro il video L’innocenza dei musulmani che imprevedibilmente è sfuggito di mano. In risposta, importanti analisti hanno arguito che il video ha avuto ovunque poca importanza. Barry Rubin è sprezzante riguardo al film che considera «un falso pretesto per le manifestazioni» in Egitto. Michael Leeden rimprovera all’amministrazione di aver asserito «che gli attacchi contro gli americani non sono affatto degli attacchi sferrati contro gli americani, ma contro un video». «Non si tratta di un video – scrive Andrew McCarthy – più che altro negli ultimi anni episodi simili hanno riguardato le vignette satiriche, gli orsacchiotti, i roghi accidentali del Corano e molto altro.» Hussein Haqqani chiosa che le proteste sono «una funzione della politica e non della religione». Per Victor David Hanson, il video e gli episodi di protesta «non sono altro che crudi pretesti per rivolgere contro gli Stati Uniti la furia scatenatasi fra le loro masse ignoranti e impoverite e quindi ottenere potere». Lee Smith ipotizza che «incolpare il filmato fa parte di qualche complessa campagna diplomatica pubblica». Cliff Kinkaid definisce in modo categorico il film «una digressione per salvare la presidenza di Obama».

Rispetto le opinioni e imparo da tutti questi scrittori, ma non sono d’accordo sul film. Sì, è vero, gli individui, le organizzazioni e i governi spronano le masse – anzi, ci deve essere sempre qualche istigatore che mobilita i musulmani contro una dichiarazione oltraggiosa, un testo, un disegno o un video offensivo. Sarebbe però un errore considerare le masse solo come uno strumento degli interessi in conflitto (come i salafiti contro i Fratelli musulmani in Egitto) e degli imperativi politici americani. La rabbia rivolta contro il video è stata sincera, reale e persistente.

 

La persona di Maometto è sacra fra i musulmani e non gli possono essere mosse delle critiche, tanto meno può essere preso in giro. L’orientalista tedesca Annemarie Schimmel ha notato (nel suo studio del 1985 sulla venerazione di Maometto) che la sua personalità è, Corano a parte, «il centro della vita dei musulmani». Questi ultimi si sentono veramente oltraggiati per le offese alla sua persona; si noti, ad esempio, la sezione 295 B del codice penale pakistano che punisce ogni diffamazione di Maometto, anche se non intenzionale, con la pena di morte. Questa normativa è talmente approvata che nel 2011 due importanti politici come Salman Taseer e Shahbaz Bhatti furono assassinati solo perché si erano detti contrari alla legge pakistana sulla blasfemia. I loro omicidi non avevano nulla a che fare con l’Occidente e di certo non erano delle digressioni in una campagna presidenziale Usa.

Una decina di giorni fa, in occasione di due discorsi pronunciati alle Nazioni Unite, il presidente americano e quello egiziano hanno offerto delle visioni del tutto differenti sulla libertà di essere blasfemi. Barack Obama ha insistito sul fatto che «Nel 2012, in un’epoca in cui chiunque con un telefono cellulare può diffondere delle opinioni offensive nel mondo scattando una semplice foto» è impossibile controllare il flusso di informazioni. «La questione – ha continuato il presidente – è come noi rispondiamo. E su questo punto dobbiamo essere d’accordo: non c’è discorso che giustifichi una violenza insensata.» Mohamed Morsi ha detto altro: «Le oscenità di recente diffuse come parte di una campagna organizzata contro il carattere sacro dell’Islam sono inaccettabili e richiedono una ferma posizione». In breve, ogni parte ha un approccio e un metodo (la libertà di parola contro il divieto della blasfemia) ritenuti fondamentali per la propria identità e promossi con una certa riverenza. Da quando Khomeini emise nel 1989 un editto di morte contro Salman Rushdie, ogni parte intende imporre all’altra il proprio punto di vista, e ciò evidenzia che questo scontro di volontà è appena iniziato.

Avendo seguito lo scontro in atto fin dall’epoca di Khomeini, dimostrerò tre tendenze principali. Innanzitutto, i musulmani si consacreranno sempre più all’imperativo politico di preservare il carattere sacro di Maometto. In secondo luogo, i governi occidentali e le élite (ossia i giornalisti, gli avvocati, gli intellettuali, gli artisti) col passare del tempo sono diventati sempre più timorosi nell’affrontare la furia islamista, disposti a chiedere scusa, a calmare, e a placare. In terzo luogo, le non-élite occidentali risponderanno sempre più agli islamisti con un atteggiamento del tipo: «Non volete essere oltraggiati. Beh, beccatevi questo!» che comprende i roghi del Corano, annunci pubblicitari che recitano “Sconfiggi il jihad”, le vignette francesi bellicosamente offensive e un lancio di film su Maometto. Se combinati, questi tre punti m’inducono a prevedere che il conflitto sui valori continuerà a infiammarsi.

Nella foto: Salman Tasser (a sinistra) e Shahbaz Bhatti, due importanti politici pakistani, furono assassinati nel 2011 per la loro opposizione alla legge sulla blasfemia