3 ago 2012 – “Ci sono imprese nel Delaware che non hanno nessun conto corrente negli USA, nessun obbligo di documentazione, nessuno sa nemmeno a chi appartengano realmente”. A tracciare questo quadro inquietante non è una qualche organizzazione che lotta per una maggiore giustizia fiscale e sociale. E’ il presidente della Borsa Valori delle Isole Cayman che in un’intervista al New York Times arriva a dichiarare pubblicamente che dovrebbe esserci un livello minimo di regole alle quali adeguarsi e che il Delaware dovrebbe essere obbligato ad adattarsi agli stessi standard delle Isole Cayman.
Peggio di quello che è nell’immaginario collettivo il peggiore paradiso fiscale del pianeta? L’articolo del New York Times non mette unicamente in luce il ruolo del Delaware nel permettere e favorire pratiche fiscali scorrette. L’evasione fiscale è il meno. Nelle parole della rete internazionale Global Financial Integrity, l’articolo mostra nel dettaglio come “il più antico Stato dell’unione facilita alcuni dei crimini più ripugnanti, consentendo a trafficanti d’armi, lobbisti corrotti e spacciatori di droga, tra gli altri, di nascondere nell’anonimato le proprie attività, mettendole al riparo dalla legge dietro la facciata di un’impresa legittima registrata negli USA”.
Uno degli atout, se così si può dire, del Delaware, è l’esistenza giuridica delle LLC, imprese che permettono agli stranieri di non pagare tasse sulle operazioni commerciali e gli utili realizzati al di fuori degli USA. A questo si somma la possibilità di intestare le proprie società a dei prestanome, nascondendone i reali proprietari (beneficial ownership). Un magistrato statunitense intervistato nell’articolo ha dichiarato che “queste imprese, delle scatole vuote, sono il principale veicolo utilizzato per il riciclaggio dei soldi sporchi e dei proventi delle attività criminali. E’ di una semplicità ridicola per un criminale creare un’impresa di comodo”.
Un esempio tra i tanti. Viktor Bout, uno dei peggiori trafficanti d’armi al mondo, soprannominato “il mercante di morte” e che ha fornito armi, tra gli altri, ai Talebani, alle FARC e ai bambini soldato in Sierra Leone, controllava almeno una dozzina di società di comodo, diverse delle quali proprio nel Delaware.
L’articolo del New York Times segnala il caso del 1209 di North Orange. Dall’esterno un edificio come tanti. Se non fosse che è la sede di qualcosa come 285.000 imprese. Duecentoottantacinquemila. Tra le altre American Airlines, Apple, Bank of America, Coca-Cola, Ford, General Electric, Google, JPMorgan Chase, Wal-Mart. E fino a poco tempo fa allo stesso indirizzo risultava anche Timothy S. Durham, ribattezzato “il Madoff del Midwest” dopo essere stato riconosciuto colpevole di una truffa ai danni di oltre 5.000 persone per un ammontare superiore ai 200 milioni di dollari. E trovavamo Stanko Subotic, un contrabbandiere serbo. Nessuna soluzione di continuità. Le imprese che intendono “ottimizzare il loro carico fiscale” con un eufemismo molto apprezzato nel settore, e i peggiori criminali del pianeta utilizzano gli stessi meccanismi, le stesse giurisdizioni, gli stessi consulenti.
In questa situazione, un’impresa che si volesse definire “socialmente responsabile” dovrebbe come minimo stare bene alla larga dal Delaware. La domanda si pone scorrendo l’ultimo bilancio consolidato di Enel. Non una. Se non ci siamo sbagliati a contare, nel bilancio compaiono qualcosa come 57 società con sede a Wilmington, Delaware. Con costruzioni a dir poco incomprensibili.
Facciamo un esempio. La Sheldon Springs Hydro Associates LP (Delaware) è controllata al 100% dalla Sheldon Vermont Hydro Company Inc. (Delaware), che è controllata a sua volta al 100% dalla Boot Sheldon Holdings LLC (Delaware), di proprietà al 100% della Hydro Finance Holding Company Inc. (Delaware), che è controllata al 100% dalla Enel Green Power North America Inc. (Delaware), controllata a sua volta al 100% dalla Enel Green Power International SA, (una Holding di partecipazioni con sede in Olanda), a sua volta controllata da Enel Green Power SpA che è finalmente detenuta al 69,17% dalla casa madre Enel SpA.
E’ davvero assolutamente necessario questo incredibile incastro di scatole cinesi per vendere elettricità? E’ questa la green economy del futuro?
La Fondazione Culturale Responsabilità Etica, da anni impegnata in un’attività di azionariato critico (www.fcre.it), ha posto queste domande già nel corso delle passate assemblee. La stessa struttura societaria nel Delaware era stata ricostruita in un articolo apparso nel febbraio del 2009 su Altreconomia (www.altreconomia.it). Fino a oggi l’unica risposta data da Enel è una dichiarazione in assemblea dell’Amministratore Delegato Dott. Conti, e ha il sapore della presa in giro: il Delaware è un bel posto, c’è anche il fiume, dovreste andarci in vacanza. Per il resto, nulla da segnalare, quello che fa Enel è tutto perfettamente lecito.
In attesa di una risposta da parte “dell’energia che ti ascolta”, giriamo la domanda anche al ministero dell’Economia e delle Finanze. Lo stesso ministero che da un lato dichiara una lotta senza quartiere all’evasione e all’elusione fiscale, e dall’altro detiene il 30% del capitale di Enel, ovvero è l’azionista di riferimento, nomina la maggioranza del Consiglio di Amministrazione e di conseguenza l’Amministratore Delegato dell’impresa.
Le domande sono semplici. E’ possibile avere i bilanci degli ultimi anni di ogni società controllata da Enel nel Delaware? Capire quanto fatturano, per quali operazioni e quante tasse pagano? E’ possibile sapere per ognuna di quelle cinquantasette società se la loro esistenza è legata a motivi commerciali o fiscali?
Ancora, è possibile sapere perché Enel ricorra alla figura giuridica delle LLC, come apparentemente è il caso della Boot Sheldon Holdings LLC? Oltre al fatto che, come accennato nell’introduzione, queste imprese permettono agli stranieri di non pagare tasse sulle operazioni commerciali e gli utili realizzati al di fuori degli USA, come si giustifica la scelta di creare una tale società?
Sono risposte che, ne siamo certi, interessano milioni di italiani che hanno la trattenuta in busta paga e non possono registrarsi alle Isole Cayman, ne, ancora peggio, nel Delaware. Gli stessi cittadini che tramite le loro tasse pagano il funzionamento della macchina statale, e in particolare del ministero dell’Economia e delle Finanze. Gli stessi che oltre alle tasse pagano ogni mese la bolletta della luce.
E allora iniziamo a pretendere una piena trasparenza sull’utilizzo che viene fatto dei nostri soldi. Di quelli depositati presso privati, nelle banche o nei fondi di investimento, così come di quelli utilizzati dal pubblico. Crediamo di avere il diritto a una risposta. Il diritto di fugare ogni possibile dubbio sul perchè il ministero dell’Economia e delle Finanze sia l’azionista di riferimento di decine di società in quello che è consdierato uno dei più impenetrabili paradisi fiscali del mondo, in compagnia di evasori, trafficanti e criminali della peggior specie.
di Andrea Baranes – Fondazione Culturale Responsabilità Etica