1 agosto – Layla Ibrahim Issa Jumul, 23 anni, sudanese, è stata condannata a morte tramite lapidazione il 10 luglio 2012 dalla Corte Criminale di Mayo, Khartoum, sulla base dell’Articolo 146 del Codice Penale Sudanese del 1991. La ragazza, accusata di adulterio, è ora detenuta nel carcere femminile di Omdurman, nei pressi della capitale sudanese, con il figlio di sei mesi.
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Dopo il successo della mobilitazione internazionale contro la
lapidazione di Intisar Sharif Abdallah, rilasciata lo scorso luglio,
Amnesty International e Italians for Darfur ONLUS rilanciano la sfida
anche questa volta, chiedendo al governo sudanese che venga salvata la
vita della giovane madre e venga riformato il Codice Penale sudanese.
La lapidazione di Layla Ibrahim Issa Jumul è chiaramente in contrasto
con la stessa Costituzione sudanese che sancisce la non applicabilità
della sentenza per donne in stato di gravidanza e in allattamento. Il
processo sarebbe stato condotto in maniera iniqua, senza che la donna
abbia potuto avvalersi del proprio legale, in violazione dell’Articolo
135 del Criminal Procedure Act.
Ora si ripresenta l’occasione, dopo il successo delle trascorse
iniziative, di renderci tutti protagonisti nella corsa contro il tempo
per salvare la vita di Layla, donna e madre sudanese, condannata a
morte per lapidazione. Chi non ha già firmato il precedente appello
contro la lapidazione, lo può fare ora, subito.
Salva la vita di layla, firma qui
<http://www.italianblogsfordarfur.it/petizione/index.php>
Il successo della precedente iniziativa
Italians for Darfur lo scorso 12 giugno aveva lanciato una petizione
per chiedere la liberazione della giovane accusata di adulterio,
Intisar Sharif, obiettivo raggiunto grazie all’impegno delle
organizzazioni che l’hanno rilanciata, tra cui Giornaliste Unite
Libere Autonome, Articolo 21, Associazione delle donne migranti.
Intisar era detenuta in isolamento, con il suo bambino di 5 mesi dal
22 aprile, con l’accusa di adulterio e condannata senza rappresentanza
legale. La vicenda era stata denunciata da Human Rights Watch e
Amnesty International e rilanciata in Italia da Italians for Darfur
che insieme ad Amnesty Italia ha raccolto decine di migliaia di firme.
La notizia è stata confermata ufficialmente dagli avvocati difensori
della giovane donna e dai volontari di “Strategic Initiative for Women
in Horn of Africa” che hanno supportato Intisar e i suoi familiari
durante la detenzione. La giovane è stata rilasciata senza condizioni
e senza alcuna spesa ulteriore.
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