Il manifesto di Krugman e Layard firmato da ottomila economisti

19 luglio – Più di quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, le principali economie avanzate del mondo restano profondamente depresse. Una scena che ricorda fin troppo quella del 1930. E la ragione è semplice: ci affidiamo alle stesse idee che hanno governato le crisi di politica economica nel 1930.
Queste idee, da tempo smentite, comprendono errori profondi sia sulle cause della crisi che sulla sua natura e sulla risposta appropriata.
Questi errori hanno messo radici profonde sulla coscienza pubblica e  forniscono il sostegno pubblico per l’eccessiva austerità delle attuali politiche fiscali in molti paesi.
Quindi, i tempi sono maturi per un manifesto in cui gli economisti offrano al pubblico  un’analisi dei nostri problemi maggiormente basata sulle evidenze.

LE CAUSE
Molti responsabili politici insistono sul fatto che la crisi è stata causata dalla gestione irresponsabile del debito pubblico.
Con pochissime eccezioni – come la Grecia – questo è falso.
Invece, le condizioni per la crisi sono create da un eccessivo indebitamento del settore privato e dai prestiti,  incluse le banche sovra-indebitate.
Il crollo della bolla ha portato a massicce cadute della produzione e quindi del gettito fiscale.
Così i disavanzi pubblici di grandi dimensioni, che vediamo oggi, sono una conseguenza della crisi non la causa.

LA NATURA DELLA CRISI
Quando le bolle immobiliari su entrambi i lati dell’Atlantico sono scoppiate, molte parti del settore privato hanno tagliato la spesa, nel tentativo di ripagare i debiti contratti nel passato. Questa è stata una risposta razionale da parte degli individui ma – proprio come la risposta simile dei debitori nel 1930 – si è dimostrata collettivamente autolesionista, perchè la spesa di una persona è il reddito di un’altra persona. Il risultato del crollo della spesa e stato una depressione economica che ha peggiorato il debito pubblico.

LA RISPOSTA APPROPRIATA
In un momento in cui il settore privato è impegnato in uno sforzo collettivo per spendere meno, la mano  pubblica dovrebbe agire come forza di stabilizzazione, nel tentativo di sostenere la spesa. Perlomeno non dovremmo peggiorare le cose tanto quanto il tagli della spesa pubblica e i grandi aumenti delle aliquote fiscali sugli individui.  Purtroppo questo è esattamente ciò che molti governi stanno facendo.

IL GRANDE ERRORE
Dopo aver risposto bene nella prima e acuta fase della crisi economica la saggezza politica convenzionale ha però preso una strada sbagliata concentrandosi sui deficit pubblici, che sono principalmente il risultato di una crisi indotta dal crollo delle entrate, e sostenendo che il settore pubblico dovrebbe cercare di ridurre i suoi debiti in tandem con il settore privato.
Come risultato, invece di giocare un ruolo di stabilizzazione, la politica fiscale ha finito per rafforzare gli effetti frenanti dei tagli alla spesa del settore privato.
Di fronte a uno shock meno grave la politica monetaria potrebbe bastare. Ma con i tassi di interesse prossimi allo zero, la politica monetaria – mentre dovrebbe fare tutto il possibile – non può fare l’intero lavoro.
Ci deve essere naturalmente un piano a medio termine per ridurre il disavanzo  pubblico.
Ma se questo è troppo sbilanciato, può  facilmente essere controproducente annullando la ripresa.
Una priorità chiave è quella di ridurre la disoccupazione, prima che diventi endemica, rendendo la ripresa e la futura riduzione del deficit ancora più difficile.
Come rispondono coloro che sostengono le politiche attuali agli argomenti che abbiamo appena avanzato?
Usano due argomenti molto diversi a sostegno della loro causa.

ARGOMENTO DELLA  FIDUCIA
Il loro primo argomento e che i deficit pubblici alzeranno i tassi di interesse, e quindi impediranno il recupero.
Al contrario, essi sostengono, l’austerità aumenterà la fiducia e favorirà così la ripresa.
Ma non c’è alcuna prova a favore di questo argomento.
In primo luogo, nonostante il deficit eccezionalmente elevato, i tassi d’interesse oggi sono bassi, senza precedenti, in tutti i principali paesi in cui c’è una banca centrale normalmente funzionante.
Ciò è vero anche in Giappone dove il debito pubblico supera ormai il 200% del Pil annuo, e i downgrade delle agenzie di rating non hanno alcun effetto sui tassi di interesse giapponesi.
I tassi di interesse sono elevati solo in alcuni paesi della zona euro perché alla Bce  non è consentito di agire come prestatore di ultima istanza per il governo.
Altrove la Banca centrale può  sempre, se necessario, finanziare il deficit, lasciando inalterato il mercato obbligazionario .
Inoltre l’esperienza passata non contiene nessun caso in cui i tagli di bilancio hanno effettivamente generato un aumento della attività economica.
Il Fondo monetario internazionale ha studiato 173 casi di tagli di bilancio dei singoli paesi e ha scoperto che il risultato coerente è la contrazione economica.
Nella manciata di casi in cui il consolidamento fiscale è stato seguito da una crescita, i canali principali erano un deprezzamento della valuta nei confronti di un mercato mondiale forte, una possibilità non disponibile al momento.
La lezione dello studio del Fondo monetario internazionale è chiara: i tagli al bilancio ritardano la ripresa.
E questo è ciò che sta accadendo ora. I paesi con maggiori tagli di bilancio non ispirano la fiducia delle imprese.
Le aziende investono solo quando possono prevedere abbastanza clienti con redditi sufficienti da spendere.
L’autorità scoraggia gli investimenti.
Vi è quindi un’evidenza massiccia contro l’argomento della fiducia, tutte le presunte prove a favore di tale dottrina sono evaporate a un esame  più approfondito.

L’ARGOMENTO STRUTTURALE
Un secondo argomento contro l’espansione della domanda è che la produzione è nei fatti vincolata dal lato dell’offerta da squilibri strutturali.Se questa teoria fosse giusta però, almeno in alcune loro parti le nostre economie dovrebbero essere a pieno regime.
Ma nella maggioranza dei paesi non è questo il caso.
Ogni settore importante delle nostre economie è in difficoltà, e ogni attività ha un tasso di disoccupazione più elevato del solito.
Quindi il problema è una mancanza generale di spesa e domanda.
Nel 1930 lo stesso argomento strutturale è stato utilizzato contro le politiche di spesa produttiva degli Stati Uniti. Ma, a seguito dell’aumento di spesa tra il ’40 e il ’42 la produzione è aumentata del 20% .
Quindi il problema del 1930, come oggi, era una carenza di domanda non di offerta.
Come risulta dalle loro idee sbagliate, in molti paesi occidentali i politici stanno infliggendo sofferenze enormi ai loro popoli. Ma le idee che sposano su come gestire la recessione sono state respinte da quasi tutti gli economisti dopo i disastri del 1930 e per i successivi quarant’anni, o giù di lì, l’Occidente ha goduto di un periodo di stabilità economica e bassa disoccupazione.
È tragico che negli ultimi anni le vecchie idee abbiano di nuovo messo le radici.
Ma non possiamo più accettare una situazione in cui la paura sbagliata di tassi di interesse più elevati pesino di più sui decisori politici rispetto agli orrori della disoccupazione di massa. Politiche migliori differiscono da paese a paese e hanno bisogno di un dibattito approfondito. Ma devono essere basate su una corretta analisi
del problema.