23 giu – La Cassazione mette al bando l’atteggiarsi a volte un po’ ‘cafonal’ degli italiani, specie se i gesti “sboccati” si verificano in una piazza o in una via pubblica, provocando un danno, non voluto, a qualcuno. Gia’, perche’ “la pubblica via non e’ il salotto di casa”, annota la Suprema Corte, ricordando che “di essa ciascuno ha il diritto di godere ma anche il dovere di lasciare godere alla generalita’ dei cittadini e dunque di rapportare il proprio comportamento al rispetto dei diritti altrui“.
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Il richiamo al ‘bon ton’ in pubblico da parte della Cassazione e’ scaturito dalla denuncia fatta dalla signora Giovanna Q., ultraottantenne, ad un ventottenne di Ruvo di Puglia che l’ aveva colpita all’ occhio destro, del tutto inavvertitamente, mentre su un marciapiede della centralissima piazza stava parlando con tre amici gesticolando ampiamente a braccia aperte. Un atteggiamento “scomposto”, e un poco ‘cafonal’, che ha indotto l’anziana signora a denunciare Francesco T. per lesioni colpose consistenti in un edema palbebrale marcato (prognosi di otto giorni). La denuncia, pur non sortendo una condanna penale come avrebbe voluto Giovanna Q., otterra’ pero’ soddisfazione in sede civile con un risarcimento danni.
A fare breccia tra gli ‘ermellini’, la tesi difensiva sostenuta dalla signora secondo la quale il giovane, proprio per il contesto in cui si trovava, vale a dire il marciapiedi della piazza, “avrebbe dovuto evitare gesti scomposti“. Se il Tribunale di Ruvo di Puglia – nel febbraio 2011 – aveva assolto Francesco T. “perche’ il fatto non costituisce reato” sulla base del fatto che i gesti un po’ scomposti mentre si chiacchiera sono “abitudine comune”, la Cassazione ha messo uno stop all’atteggiarsi ‘cafonal’, spiegando che “non e’ la generalizzata diffusione dei comportamenti a rendere lecita una condotta, essendo in ogni caso primario, nell’agire dell’uomo, il rispetto del ‘neminem laedere”.
E poi, ha osservato la Quarta sezione penale con la sentenza 24993 – “la pubblica via non e’ il salotto di casa” per cui “l’abitudine di accompagnare con i gesti una conversazione, di per se’ certamente lecita, perde il carattere di liceita’ nel momento in cui essa, per le modalita’ che caratterizzano la gestualita’ e per il contesto in cui essa si manifesta, rappresenti una violazione delle ordinarie regole di prudenza e di diligenza che, comunque ed in ogni caso, devono accompagnare qualsiasi comportamento umano“. adnk