STRASBURGO, 13 giu – Frontiere che possono tornare a chiudersi, strumenti per la crescita che non si trovano, sorveglianza europea su bilanci nazionali che non decolla.
Barroso, Van Rompuy, Draghi e Juncker dovrebbero presentare al vertice europeo di fine giugno il piano della svolta. Ma e’ una Unione europea sull’orlo del collasso quella vista dalla plenaria di Strasburgo a cinque giorni dalle elezioni in Grecia.
A dare il senso di una Ue che implode e si prepara all’uscita di Atene tanto dall’euro quanto dallo spazio senza frontiere, e’ lo scontro senza precedenti tra Parlamento e Consiglio sulla riforma di Schengen partita dalle tensioni di un anno fa tra Italia e Francia per i tunisini alla frontiera di Ventimiglia.
Si doveva andare verso una centralizzazione a Bruxelles della valutazione e della decisione. La settimana scorsa i ministri degli interni hanno invece deciso che saranno solo i governi, eludendo l’obbligo di co-decisione col Parlamento europeo scritto nell’art.77 del Trattato di Lisbona, a definire in quali ”circostanze eccezionali” potranno ristabilire i controlli alle frontiere. Includendo le ondate migratorie ed i possibili problemi di ordine pubblico che potrebbero nascere in caso di defualt finanziari. Spazio per la Commissione ce ne sara’ comunque, ma e’ la scelta ‘politica’ dei governi di far fuori il Parlamento a far insorgere tutti i gruppi politici, tranne conservatori e euroscettici che invece applaudono.
Il Parlamento europeo preparera’ un ricorso alla Corte di Giustizia europea. In piu’ i gruppi agitano la minaccia di bloccare tutti i negoziati in corso con il Consiglio. Per ora interrompono i lavori con la presidenza danese per i ‘dossier’ affari interni e giustizia, ma lo stop potrebbe estendersi.
Anche un moderato come Joseph Daul, capogruppo dei popolari, parla di “provocazione” e “fiducia recisa”. Il socialista-democratico Hannes Swoboda denuncia “uno scandalo inaccettabile” e accusa di “aver spalancato la porta al populismo di destra”.
Ed e’ scontro aperto tra governi e Parlamento anche sulle risposte da dare alla Grecia ed alla crisi. I vicepresidenti Gianni Pittella (Pd) e Anni Podimata (greca del Pasok) presentano l’appello, firmato tra gli altri da Franco Bassanini, Nicola Piovani, Stefano Rodota’ e Umberto Veronesi, per una ”revisione sostenibile” dell’accordo con la Grecia, non piu’ fondata sulle condizioni capestro costruite ad hoc, ma sulle ”regole comuni” di governance che il Parlamento deve approvare domani col voto sul ‘two pack’ (i due regolamenti presentati dalla Commissione per integrare ‘il six pack’ ed il ‘fiscal compact’ per la sorveglianza degli Stati a rischio e la valutazione delle finanziarie nazionali).
Nel ‘two pack’ il Parlamento ha inserito gli elementi per la crescita che i governi non avevano voluto mettere nel fiscal compact: creazione del ‘fondo di redenzione’ dove far confluire il debito eccedente il 60% del rapporto col Pil dei paesi ‘virtuosi’, preparazione della roadmap per gli eurobond, nascita di un fondo per la crescita da 100 miliardi di euro l’anno in project bond gestiti dalla Bei, varo di una sorta d’ ‘chapter 11’ all’americana per garantire protezione giuridica agli stati in default.
In piu’ i socialisti hanno presentato un emendamento per la ‘golden rule’, per lo scorporo degli investimenti produttivi dal calcolo del deficit. Tedeschi, olandesi e belgi del Ppe – il partito di maggioranza relativa – sono contrari come le loro cancellerie. Mario Mauro, capogruppo Pdl, invece annuncia il si’ e ricorda che al voto di domani saranno legate anche le ratifiche del fiscal compact, ancora in alto mare in almeno cinque paesi oltre che in Germania. ansa