29 mag – ‘Non è un paese per vecchi‘, questo il titolo del film del 2007 diretto dai fratelli Coen che può essere ben adatto anche al nostro Paese, alla popolazione degli anziani sempre più numerosi ed in una condizione sempre più a rischio, soprattutto sul fronte della salute e delle cure necessarie. Lo sottolinea Francesco Di Raimondo, ematologo dell’Azienda ospedaliera universitaria Policlinico Vittorio Emanuele di Catania, che in occasione dell’incontro in corso a Taormina su ‘La gestione del paziente anziano nelle principali neoplasie ematologiche’, evidenzia il rischio di ‘discriminazione’ nelle cure somministrate agli anziani con tumori del sangue.
“Al contrario di ciò che si pensa, afferma Di Raimondo, le neoplasie del sangue sono più aggressive negli anziani rispetto ai giovani. E dunque i primi avrebbero bisogno di un trattamento più aggressivo. Ma considerati i rischi di tossicità della chemio ‘convenzionale’, il medico ha adottato una sorta di arrendevolezza, una tendenza a gettare la spugna”.
In pratica, c’è il pericolo che gli anziani finiscano per ricevere terapie non ottimali. Un fenomeno che ha portato alla nascita di un nuovo termine, ‘ageism’, che indica la tendenza a discriminare gli anziani dal punto di vista terapeutico. Ebbene, l’obiettivo della giornata di Taormina “è quello di sottolineare l’importanza di individuare l’approccio diagnostico-terapeutico migliore e più appropriato per la cura dell’anziano con patologia onco-ematologica – dice Fabrizio Pane, Divisione di Ematologia del Dipartimento di Biotecnologie Mediche Università Federico II di Napoli, presidente della Società Italiana di Ematologia – A fare la differenza, infatti, è sia il tipo di anziano che il tipo di malattia.
Oggi infatti ci sono i nuovi farmaci biologici, che grazie al diverso meccanismo d’azione hanno aperto nuove frontiere. E’ più che mai fondamentale, anche nel trattamento degli anziani, considerare caso per caso, per identificare il candidato ideale per un certo tipo di trattamento”.
Nell’incontro di Taormina, supportato dall’azienda farmaceutica Celgene vengono affrontate e discusse le evidenze di come l’età costituisca uno dei criteri cardine alla base della scelta terapeutica ottimale. “Ma non basta valutare l’età anagrafica: bisogna tener conto di quella biologica del paziente, delle sue ‘riserve’, ovvero della capacità di sostenere le cure”, dice Di Raimondo. “Oggi, infatti, sono disponibili nuovi medicinali con meccanismi d’azione diversi che agiscono sul microambiente che nutre il tumore, e che possono essere usati anche negli anziani.
Il medico, però – sottolinea Di Raimondo – deve conoscere anche come vive il paziente, chi lo assiste, per ‘ritagliare’ la terapia su misura. E bisogna dire che da noi al Sud questo spesso non è un problema, perché gli anziani sovente vivono in casa con i figli”. “L’invecchiamento e la medicina vanno di pari passo – conclude Pane – ma se prima c’era una sorta di sfiducia nelle armi a disposizione del medico per i pazienti anziani, oggi è importante conoscere le nuove possibilità, per terapie sempre più personalizzate”. adnk