È la prima volta nella storia che l’Egitto tiene libere elezioni, e tutto il Medio Oriente, anzi, il mondo intero, trattiene il fiato. Si tratta del Paese arabo più potente e che vanta la tradizione millenaria dei faraoni; è l’ago della bilancia di quella zona esplosiva; è il Paese sunnita che, per i trent’anni di Mubarak, ha fatto più di chiunque da muro allo strapotere iraniano e dell’islam militante; è anche l’unica grande potenza araba che abbia tenuto fede alla pace stretta fra Sadat e Begin, e non è poco in un mondo dominato dall’odio per Israele.
Adesso ecco che si presenta volontariamente a un appuntamento con la storia cui partecipano per la prima volta da attori primari ottanta milioni di cittadini. Uno spettacolo epocale. Le elezioni parlamentari hanno portato in parlamento la bellezza del 75 per cento di eletti della Fratellanza musulmana e dell’area salafita più estrema ma ciò non significa che al momento di muovere alcuni passi nell’inusitato mondo della libertà, debbano per forza vincere le elezioni a presidente i suoi candidati, Mohammed Morsi (candidato ufficiale dei Fratelli) e Abul Futuh, un islamista espulso dalla Fratellanza perché si è candidato anche lui. La gente, dalla rivoluzione di piazza Tahrir, si è dovuta rendere conto che la strada era incerta e scabra, che ogni passo faceva ricadere nel caos e nello strapotere altrui oltre che nella miseria più dura. Intanto, a comandare ha sempre seguitato l’esercito, l’imperituro generale Tantawi, ministro della Difesa e presidente del Consiglio supremo delle forze armate. L’esercito,e la gente lo sa, tiene occhiutamente in mano le maggiori leve e i mezzi del potere, e uno dei suoi rappresentanti, Ahmed Shafiq, corre per presidente. Ma il candidato che potrebbe meglio aiutare la giunta a mantenere l’ordine, è l’ex ministro degli Esteri di Mubarak e poi segretario della Lega araba Amr Mussa, un volpone panarabista, opaco e scaltro, chiaro soprattutto su un punto: l’odio per Israele.
Lui e Futuh sono le due facce che l’Egitto potrà alternativamente decidere di presentare al mondo: Mussa, l’uomo di esperienza, che darà all’Egitto mantenendo un buon rapporto con gli Usa e l’Europa una qualche strada per la ricostruzione economica, per far tornare i turisti, che cercherà di evitare l’odio delle masse distanziandosi dall’esercito, che anche se ha dichiarato che Israele è un avversario e il trattato deve essere rivisto, non si butterà in una guerra pazzoide e fanatica, almeno non ora. E che non consegnerà il Paese a un’ideologia iraniana. Futuh, o anche Morsi, sarebbero tutto il contrario, la loro mancanza di esperienza governativa li porterà a un atteggiamento che alienerà all’Egitto l’aiuto internazionale: l’imposizione della sharia, il velo alle donne, l’odio per gli ebrei e i cristiani non suoneranno certo invitanti per gli investitori o i visitatori. L’Iran ne sarebbe ben contento.
Quindi, triste quanto lo può essere una simile considerazione, fra l’incudine e il martello della vecchia faccia di Mussa, anche peggiore del potere passato, e quelle nuove degli islamisti, meglio immaginare gli antichi faraoni che con i loro armigeri rimettono piede tramite Amr Mussa nella piramide, è il caso di dirlo, del potere. Sempre che la folla di fronte a una vittoria di questo genere non si rivolti di nuovo, ancora e ancora, in una lotta senza tregua contro l’esercito. Né si deve dimenticare che il Parlamento è sotto minaccia di scioglimento per incostituzionalità; che ancora non esiste una Costituzione che definisca i poteri del presidente, i Fratelli musulmani chiedono (ovviamente) un regime parlamentare, e le minoranze chiedono un regime presidenziale… Insomma ci sono motivi, scuse, problemi istituzionali che possono intricarsi, e soprattutto, le masse che mai mai dai tempi dei Faraoni hanno conosciuto la democrazia, e non possono inventarsela in pochi mesi.
di: Fiamma Nirestein
da: il Giornale
Foto: redazione
insomma o la padella o la brace!